L’accordo sugli extra profitti delle banche ha evitato danni strutturali alle imprese. L’analisi di Ferretti
- Postato il 28 ottobre 2024
- Economia
- Di Formiche
- 2 Visualizzazioni
Anche quest’anno, la questione della tassazione degli extraprofitti delle banche è stata probabilmente risolta con un equilibrato accordo di compromesso tra governo e Associazione bancaria italiana. Non più una tassazione degli ingenti utili realizzati negli ultimi anni dalle banche in relazione alla politica dei tassi voluta dalla Bce, ma una temporanea rinuncia da parte degli istituti ad utilizzare nel prossimo biennio alcune deduzioni fiscali previste. Il tutto per garantire al governo maggiori flussi di cassa da utilizzare nella manovra.
Ovviamente, alcune aree politiche sono insorte gridando alla tassazione farsa, all’inganno elettorale e hanno minacciato battaglia in parlamento per ripristinare una qualche forma di vera tassazione a carico delle nostre banche. Dunque, posto che la partita è ancora aperta, potrebbe essere utile fare alcune riflessioni sui danni collaterali strutturali che una tassazione diretta degli utili delle banche potrebbe generare sia a livello di gestione del nostro debito pubblico, sia a livello delle nostre pmi.
Il primo di questi danni collaterali riguarda l’incertezza. Qui il problema è che la eventuale previsione di una nuova tassa, imprevista e retroattiva inietterebbe nel settore ciò che i mercati maggiormente temono, ossia il fattore incertezza. E la prima conseguenza di questa iniezione di incertezza sarebbe una possibile riduzione della propensione degli investitori a collocare risorse nel nostro sistema bancario, o, comunque, una maggiore onerosità nel reperimento di queste risorse. E questo costituisce un problema non trascurabile in quanto le sempre più stringenti regole di Basilea potrebbero imporre alle banche rafforzamenti patrimoniali e, quindi, la necessità di recuperare nuovi capitali.
Ma l’incertezza derivante da una eventuale tassazione degli extraprofitti avrebbe anche un’altra conseguenza, forse più intangibile, ma proprio per questo decisamente più subdola. Infatti, l’agitare sulla testa del nostro sistema bancario una spada di Damocle consistente in imprevedibili prelievi forzosi di utili sarebbe in grado di influenzare il fattore S, ossia il sentiment dei mercati inteso come le ansie, le preoccupazioni, le elucubrazioni dei mercati stessi. Si tratta di un fattore decisamente pericoloso in grado, in particolari momenti di tensione, di prevalere anche sui dati economici reali e che, purtroppo, ha dato buona prova della sua aggressività nel corso della crisi di novembre 2011.
Il punto è che il nostro settore bancario, anche a seguito della riduzione degli acquisti di titoli pubblici da parte della Bce, continua ad essere uno snodo fondamentale per la gestione ordinata del debito pubblico ormai a ridosso dei 3 mila miliardi. Di conseguenza, qualsiasi fenomeno in grado di far insorgere nei mercati ansie ed incertezze relative al nostro sistema bancario deve essere evitato come la peste. Il secondo danno collaterale riguarda invece le ripercussioni sulle nostre pmi. In Italia il rapporto banca-impresa è decisamente più stretto rispetto a quanto avviene nel resto d’Europa, come dimostrato dal fatto che circa il 90% delle nostre piccole e medie imprese hanno la banca come principale o unica fonte di sostegno finanziario. La conseguenza diretta di questa dipendenza è che eventuali nuove norme di vigilanza o di natura fiscale, pur essendo dirette agli istituti di credito, tendono a ripercuotersi immediatamente sulle nostre aziende specie medio-piccole.
Nel caso in esame, una eventuale tassazione degli extraprofitti potrebbe riverberarsi sulle pmi in due modi. Da una parte, colpendo i margini delle banche, andrebbe a ridurre anche la capacità degli istituti di effettuare accantonamenti prudenziali a bilancio superiori a quelli imposti dalla normativa. Si tratta, in questo caso, di extra accantonamenti che, rendendo più solida la banca, conferiscono margini di manovra più ampi nella concessione del credito alle aziende senza per questo disattendere le norme di vigilanza. Dall’altra, una ipotetica tassazione diretta, comprimendo i margini delle banche, comprimerebbe anche la possibilità per queste ultime di applicare condizioni più favorevoli alle imprese nel tentativo di supportarle nella ripresa post crisi. E, nell’attuale scenario che vede le pmi reduci dall’aver combattuto contemporaneamente sul fronte del Covid, sul fronte dell’aumento dei costi energetici, nonché sul fronte della riduzione della domanda e dei consumi, questo supporto appare ancora essenziale.