L'abbaglio, Ficarra e Picone esche per il pubblico nella Spedizione dei Mille - Recensione
- Postato il 16 gennaio 2025
- Di Panorama
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L'abbaglio, Ficarra e Picone esche per il pubblico nella Spedizione dei Mille - Recensione
Roberto Andò alla regia, a orchestrare lo strano incontro tra la solennità verace di Toni Servillo e la comicità gentile di Ficarra e Picone. Nel 2022 il connubio funzionò, almeno al boxoffice, con La stranezza che incassò oltre 5,5 milioni di euro. Ora il quartetto ci riprova. E torna a mescolare eventi e personaggi storici a vicende e figure fittizie in una Sicilia che non c’è più. Con risultati controversi. Dal 16 gennaio al cinema con 01 Distribution, ecco L’abbaglio.
Il Risorgimento di verità e finzione
Ne La stranezza Ficarra e Picone, nei panni di teatranti amatoriali, intrecciavano destini e ispirazione con il Luigi Pirandello di Servillo e i suoi personaggi in cerca d’autore. Con L’abbaglio, invece, andiamo più indietro nel tempo. Siamo nella Sicilia del 1860, in una pagina fondamentale di storia italica, quando l’Italia era ancora da farsi.
Dall’arruolamento dei combattenti della Spedizione dei Mille, tra idealisti e disgraziati, alla partenza da Quarto, dallo sbarco a Marsala fino alla presa di Palermo, Andò si concentra sulla missione capitanata da Giuseppe Garibaldi, pagina cruciale del nostro Risorgimento.
Immagine del film "L'abbaglio" (Foto: 01 Distribution)
Servillo interpreta il colonnello Vincenzo Giordano Orsini, palermitano, uno degli uomini migliori di Garibaldi. Con il suo carisma smagliante, quando lui è in scena c’è sempre una buona tensione emotiva. Il suo braccio destro è incarnato da Leonardo Maltese, spesso animato da ardore troppo teatrale.
Già nel reclutamento delle giubbe rosse Storia e fantasia si intrecciano. Tra loro ci sono Luigi Marchetti e suo figlio undicenne: e questa è verità (nessuno dei due morì durante la campagna, anche se il film lascia intendere diversamente). Tra i mille di Andò ci sono anche due siciliani, Domenico Tricò, un contadino emigrato al Nord, e Rosario Spitale, un truffaldino, che appena sbarcati in Sicilia disertano. E questa è finzione. Ovviamente le due simpatiche canaglie hanno il volto di Salvatore Ficarra e Valentino Picone.
E Garibaldi, che poco si vede ma in quei brevi istanti di sguincio emana autorevolezza? Segna l’ennesima buona performance di Tommaso Ragno.
Ficarra e Picone, l’esca per il grande pubblico
Si sa, oggi ci sono più interpretazioni della spedizione dei Mille. Gli eroici volontari furono liberatori coraggiosi e patriottici, pronti a pagar con la vita per l’unità d’Italia, come racconta la storia ufficiale. Oppure, secondo alcuni, furono conquistatori che legarono il Sud Italia alle redini di Vittorio Emanuele II di Savoia, nonostante diverse resistenze sociali.
La chiave di lettura de L’abbaglio? È poco chiara. Nelle note stampa Andò, sicilianissimo, spiega: «È un film sui paradossi della Storia, dove si mescolano comicità e dramma». Ma se le parti drammatiche sono quanto basta appassionanti, quelle comiche sembrano posticce e pretestuose.
E Ficarra e Picone, amato duo comico siciliano? Non si discute la loro garbata piacevolezza, ma sembrano l’esca per attrarre in sala il grande pubblico più che parti integranti di una narrazione fluida. Un esempio? Il lungo episodio presso il convento di suore: ha poco a che fare con l’impresa garibaldina, né arricchisce di dettagli storici o di ilarità imperdibile.
Toni Servillo e Leonardo Maltese nel film "L'abbaglio" (Foto: 01 Distribution)
L’abbaglio della colonna Orsini
Tra spolverate di Storia vera, le sequenze più belle de L’abbaglio sono quelle di guerra, una guerra di armi semplici, di vecchi fucili e sparuti cannoni, senza effetti speciali e senza grandi coreografie militari. È interessante la ricostruzione delle operazioni garibaldine, da Salemi a Giuliana a Sambuca.
Il grande merito del film? Quello di rievocare un episodio a lungo nell’ombra della spedizione dei Mille, quello della colonna Orsini, a cui anche Leonardo Sciascia dedicò un racconto dal titolo Il silenzio. Nonostante l’avvio travolgente dei primi combattimenti, con l’insperata vittoria di Calatafimi, Garibaldi in Sicilia dovette fronteggiare la disparità numerica delle forze in campo. Ma il generale escogitò un brillante diversivo. Radunò una colonna formata da feriti e da un manipolo di militi, al comando del colonnello Orsini, che doveva far credere all’esercito dei Borboni che i Mille stessero battendo in ritirata verso l’interno dell’isola. Il tenente-colonnello svizzero Jean Luc Von Mechel (Pascal Greggory) cadde nel tranello. E Garibaldi poté conquistare Palermo.
Tommaso Ragno è Garibaldi nel film "L'abbaglio" (Foto: 01 Distribution)
Questo l’abbaglio più evidente che dà titolo al film. L’altro abbaglio è probabilmente più sottile ma trattato in maniera un po' vaga: l’Italia, finalmente unita, si rivelerà non così diversa da com’era prima, di gattopardiani richiami. Ma Il Gattopardo – ça va sans dire – è di altro livello.
L’abbaglio è «un’occasione per ricostruire un episodio poco noto della nostra Storia minima, illuminante per vedere i chiaroscuri e le contraddizioni di quella grande. Una vicenda esemplare ambientata in una Sicilia che ancora una volta si rivela lo scenario di un’identità inquieta e sfuggente, bilanciata tra il desiderio di giustizia e la mistificazione», ha detto Andò. «Un film sul carattere degli italiani: furbi, appassionati, generosi, opportunisti, coraggiosi, individualisti, cinici, idealisti».
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