La virologa che ha testato su di sé una nuova cura
- Postato il 12 novembre 2024
- Di Focus.it
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All'elenco nutrito di scienziati che nel corso della loro vita si sono prestati a testare le loro stesse invenzioni o scoperte si aggiunge ora Beata Halassy, una virologa dell'Università di Zagabria (Croazia) che ha curato il proprio tumore al seno con una combinazione di virus mai sperimentata su questo tipo di cancro.
La sua storia, ripresa in un articolo sul sito di Nature, è in queste ore molto discussa in Rete, perché pone una serie di domande non banali sull'etica della ricerca.. Una strada non convenzionale. Nel 2020, all'età di 49 anni, a Beata Halassy fu diagnosticata una seconda recidiva di cancro al seno sinistro, un tumore allo stadio 3 nello stesso sito nel quale in precedenza aveva subito una mastectomia (l'asportazione chirurgica della mammella).
Non riuscendo ad affrontare altri cicli di chemioterapia, la ricercatrice prese una decisione radicale: decise di studiare la letteratura scientifica su terapie oncologiche a base di virus, e di testare su di sé un trattamento fino ad allora mai provato per quel tipo di tumore. La sua storia, fortunamente finita bene, è stata non senza problemi pubblicata da agosto sulla rivista scientifica Vaccines.. Virus contro cancro. Halassy ha sperimentato sul suo tumore una forma di viroterapia oncolitica (oncolytic virotherapy, OVT), un trattamento emergente in ambito oncologico che sfrutta i virus per attaccare le cellule cancerose e allo stesso tempo provocare contro di esse una risposta immunitaria.
Esistono diversi trial clinici di OVT, la maggior parte dei quali destinati a pazienti affetti da forme di cancro metastatico in fase avanzata. Negli USA è stata approvata una forma di viroterapia oncologica - chiamata T-VEC - per il trattamento del melanoma metastatico, ma finora questa terapia non era mai stata approvata contro il cancro al seno, in nessuno stadio.. La scelta dei patogeni. Halassy tra l'altro non è un'esperta di OVT, ma conosce molto bene i virus, sa come coltivarli e purificarli in laboratorio. Così ha scelto di aggredire il suo tumore prima con il virus del morbillo e quindi con quello della stomatite vescicolare (un patogeno relativamente innocuo che di solito colpisce il bestiame e che nell'uomo causa al massimo i sintomi dell'influenza).
Entrambi sono già stati usati in trattamenti di viroterapia oncologica e sono noti per aggredire lo stesso tipo di cellule dalle quali aveva avuto origine il cancro di Hassely. Entrambi sono sicuri: il ceppo di virus del morbillo scelto dalla ricercatrice è lo stesso con cui si confezionano i vaccini per l'infanzia, ed è già stato testato contro tumori al seno metastatici.. Un azzardo di successo. Hassely ha preparato di persona i virus, e con l'aiuto di altri scienziati suoi colleghi li ha iniettati per due mesi nel sito del tumore, cominciando con il patogeno del morbillo e a seguire con quello della stomatite. L'oncologo della scienziata ha accettato di tenere monitorata la situazione, per interrompere il test e intervenire con la chemioterapia nel caso le cose avessero iniziato a peggiorare. La combinazione di patogeni ha funzionato. Il tumore si è rimpicciolito ed è diventato più molle, si è staccato dal muscolo pettorale ed è risultato più facile da rimuovere chirurgicamente.
Le analisi del tumore rimosso hanno confermato che era stato completamente infiltrato da cellule immunitarie - i linfociti - stimolate dalla terapia. Il trattamento aveva scatenato il sistema immunitario della donna ad attaccare sia il virus, sia il tumore. In seguito all'operazione, la virologa ha seguito per un anno un'immunoterapia a base di un anticorpo monoclonale usato nelle cure anticancro, il trastuzumab.. Domande che pesano. Dalla scelta temeraria di Hassely sono passati 4 anni, durante i quali il cancro non si è ripresentato. Ma al di là della buona riuscita della cura (che non spalanca nuove prospettive terapeutiche, dato che trial clinici controllati sull'OVT sono già in corso, anche se non con due virus in sequenza), la scelta di Halassy pone dilemmi etici che vanno al di là della decisione personale della scienziata di saltare i protocolli tradizionali e tentare su di sé una cura non approvata.
La donna è stata aiutata da altri scienziati e il suo medico era al corrente della situazione, nonostante la prassi sia considerata eticamente discutibile. Il laboratorio in cui sono stati coltivati i virus era a conoscenza della cosa? Con quali fondi è stata finanziata la cura? . Da non prendere ad esempio. C'è poi la questione della pubblicazione su una rivista scientifica, che inevitabilmente dà risonanza al caso e che potrebbe spingere altri pazienti alla disperata ricerca di cure o terapie meno pesanti da sopportare a cercare di emulare Hassely (e senza averne la possibilità).
Prima che l'articolo con la sua storia venisse accettato, Hassely ha ricevuto non a caso una dozzina di rifiuti. La pubblicazione finale precisa che questo tipo di trattamento non dovrebbe essere cercato come prima linea di cura in caso di diagnosi di cancro..