La veloce scalata della Georgia alle vette del rugby
- Postato il 16 novembre 2024
- Di Il Foglio
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La veloce scalata della Georgia alle vette del rugby
Sono quelli che fino alla fine degli anni Cinquanta ignoravano che cosa fosse il rugby, che lo hanno finalmente appreso da un insegnante armeno residente a Marsiglia, che sono entrati – in 20 – in un campo del Politecnico di Tbilisi, e che cinque anni dopo – era il 1964 – costituirono una Federazione.
Sono quelli che, senza di loro, la Russia è crollata nel gioco, nei risultati e nella classifica mondiale.
Sono quelli che negli anni Novanta erano ancora a zero, l’allenatore della Nazionale era un neozelandese, Ross Meurant, disperato, se si considera che a disposizione aveva soltanto due palloni, sacchi da placcaggio fatti in casa, pezzi di gomma cuciti dentro pezze di blu jeans e – si narra – trattori sovietici trasformati in macchine della mischia.
Sono quelli che però il rugby lo giocavano da sempre, si chiamava Lelo. Lelo sarebbe “ball field” in inglese e campo da gioco in italiano, e il gioco (c’è ancora) consiste nelle squadre di due villaggi che, 20, 30, 40…, chi c’è c’è, purché maschi e sani, si affrontano su un terreno ricavato fra due fiumi, l’obiettivo è portare il pallone oltre la riva del fiume, e per farlo non esistono regole, nel senso che si può fare tutto quello che si vuole, che si può, che si riesce. E adesso “lelo” significa meta e “lelos” è il soprannome dei rugbisti della Nazionale.
Sono quelli che nel 2003 partecipavano già alla Coppa del mondo: la partita d’esordio fu drammatica, contro la regina madre del gioco, l’Inghilterra, un tracollo per 6-84, ma già le successive sconfitte furono onorevoli e incoraggianti, 9-46 contro Samoa, 19-46 contro il Sudafrica, 12-24 contro l’Uruguay, e già nella Coppa del mondo del 2007 conquistarono la prima vittoria, 30-0 alla Namibia.
Sono quelli che ne prendevano tante ma ne davano anche tante, e così imparavano a vincere, quello che per anni non è successo agli Azzurri, invece loro 15 volte tra il 2001 e il 2023 hanno conquistato il Campionato europeo, cui partecipano tutte le nazioni europee tranne quelle impegnate nel Sei Nazioni.
Sono quelli grandi e grossi, duri e tosti, scuri e pelosi, quadrati in un gioco ovale, fortissimi in mischia, adesso anche nei trequarti, professionisti soprattutto in Francia (le prime migrazioni risalgono alla fine degli anni Novanta, grazie alle raccomandazioni di Claude Saurel, francese, ex terza linea del Beziers, poi loro ct), ed è questa la ragione del continuo miglioramento, e la situazione organizzativa e finanziaria è miglioratissima da quando a loro si è interessato un magnate, un oligarca, l’ex primo ministro Bidzina Ivanishvili.
Sono quelli che delle ultime otto partite ne hanno vinte sei (accanto alle non irresistibili Germania, Olanda, Spagna e Romania, anche la rivincita mondiale contro il Portogallo – era finita in parità -, e il Giappone in Giappone, perdendo in patria 12-21 contro Figi e a Sydney 29-40 contro l’Australia, e nel frattempo hanno strappato addirittura una vittoria contro il Galles.
Sono quelli che l’Italia ha affrontato 11 volte, le prime volte senza “cap” (il berretto che, storicamente e tradizionalmente, equivale a una presenza ufficiale), cioè non erano test-match ma – si fa per dire – amichevoli (Italia XV, Italia A, Italia emergenti), fino ai match ufficiali, tre vittorie e una sconfitta per l’Italia, ma quest’ultima è stata anche l’ultimo confronto fra le due Nazionali, due anni fa, a Batumi, in Georgia, risultato 28-19.
Sono quelli che da tempo chiedono di entrare nel Sei Nazioni allargando a sette o di spodestare l’Italia dal Sei Nazioni, anche se il Sei Nazioni è un torneo privato, in cui non esistono promozioni e retrocessioni, e il motivo per cui l’Italia è privilegiata e salvaguardata è semplice: Roma vale, turisticamente, economicamente, infinitamente più di Tbilisi.
Sono quelli contro cui l’Italia di Gonzalo Quesada giocherà domenica alle 14.40 allo stadio Ferraris di Genova. Sono i georgiani della Georgia. Georgia on my mind, per gli Azzurri, un test-match fisico e mentale, di forza e di strategia, di spalle e di testa, vero, duro, equilibrato, atteso. Tutto da vedere.
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