La teoria del tutto

  • Postato il 11 giugno 2025
  • Attualità
  • Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella

Ci sono film che raccontano una storia, altri che la attraversano. La teoria del tutto la abbraccia. E nel farlo, ci abbraccia anche noi. Non si tratta solo del racconto biografico del grande Stephen Hawking, ma di un viaggio dentro la fragilità e la forza umana, nella bellezza del pensiero che osa, nell’amore che resta, anche quando il corpo cede. È un film che non guarda soltanto alle stelle, ma anche agli occhi di chi, nonostante tutto, continua a crederci.

Chi si aspetta una narrazione fredda e scientifica, resterà sorpreso. Perché questo film, diretto da James Marsh e interpretato con un’intensità struggente da Eddie Redmayne, è prima di tutto una lettera d’amore. Una lettera scritta col fiato corto, con le mani che tremano, con la voce che a volte manca, ma che non smette mai di dire “ci sono”. È il ritratto vivo di un ragazzo geniale che si scontra con una diagnosi tremenda – la SLA – e che, invece di arrendersi, decide di sfidare le leggi del tempo e della materia con l’unica arma che gli resta: la mente. Ma non è solo questo.

È anche la storia di Jane, la donna che ha scelto di amarlo quando tutto sembrava impossibile. È la storia del loro legame, fatto di dedizione e fatica, di passione e di silenzi, di speranza e rinuncia. Non ci sono eroi o martiri in questa storia, ma persone vere, con limiti veri, che però sanno trasformare la sofferenza in una forma altissima di vita. E forse è questo che commuove più di tutto: l’umanità. Non il genio. Non la scienza. Ma la vita, così com’è.

La teoria del tutto è un film che fa venire voglia di capire. Di studiare. Di aprire un libro di fisica, anche solo per provare a intuire quel mistero che si nasconde dietro ogni formula, ogni equazione, ogni stella. Ma anche di aprire un libro di poesia, perché il modo in cui Hawking guarda all’universo ha qualcosa di profondamente lirico. È come se ci dicesse che il sapere non è solo per chi è “intelligente”, ma per chi ha il coraggio di fare domande, di guardare oltre l’orizzonte dell’ovvio.

Guardando questo film, ci si riscopre vulnerabili. Ci si sente piccoli davanti all’immensità dell’universo, ma anche incredibilmente forti nel pensiero che, in qualche modo, possiamo comprenderlo. Anche solo un po’. E in quel “po’”, c’è tutto il senso della conoscenza umana: non per dominare, ma per abitare meglio questo mondo, per restare curiosi, per restare vivi.

È un film che ti rimane dentro. Come una voce sommessa che ti sussurra: “non smettere”. Non smettere di credere, di amare, di cercare, di pensare. Non smettere di studiare, perché ogni sapere è un ponte tra ciò che siamo e ciò che possiamo ancora diventare. E allora esci dalla sala con le lacrime agli occhi e una voglia nuova nel cuore: quella di imparare, di leggere, di scoprire. Di essere, in fondo, un po’ più umani.

Perché se c’è una teoria del tutto, forse non è scritta solo nelle stelle, ma nei cuori di chi non si arrende.

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