La tentazione di Trump: “Più tasse ai ricchi”. Ma è uno specchietto per le allodole e non tocca i miliardari

  • Postato il 19 aprile 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’idea piace da tempo a Steve Bannon, ideologo del movimento Maga e stratega della prima amministrazione Trump. Ma ora non è più solo una suggestione: molti esponenti del partito Repubblicano e il presidente stesso la stanno esaminando seriamente. Si parla dell’ipotesi di alzare dal 37 al 40% l’aliquota dell’imposta sul reddito per chi dichiara più 1 milione di dollari l’anno. La Casa Bianca presenterebbe la scelta come un modo per raccogliere gettito contribuendo così a coprire gli enormi costi del rinnovo degli sgravi approvati durante il primo mandato del tycoon. E del loro ampliamento per mantenere promesse elettorali come l’azzeramento delle tasse sulle mance a vantaggio della working class. La verità è che la misura farebbe il solletico ai miliardari sostenitori del presidente ma gli consentirebbe scippare all’ala sinistra dei Democratici, impegnata nel tentativo di resuscitare il partito dalla batosta elettorale, lo slogan Tax the rich“. E al tempo stesso spostare l’attenzione dalla scure in arrivo sul welfare per compensare tagli fiscali che continueranno comunque a beneficiare in misura sproporzionata i più abbienti.

Un passo indietro per inquadrare il contesto in cui sta maturando una decisione che cozzerebbe con l’ortodossia del Grand Old Party contraria a ogni aumento di imposte. A livello interno, una delle partite cruciali per Donald Trump è l’approvazione del budget per l’anno fiscale 2025: il primo obiettivo dell’amministrazione è che all’interno del pacchetto trovi spazio il rifinanziamento del Tax cuts and jobs act (TCJA) del 2017, la legge che ha tra l’altro ridotto l’aliquota dell’imposta sulle società e tagliato cinque aliquote sul reddito compresa la più alta, oltre a raddoppiare la detrazione standard, consentire ad autonomi e piccole società di dedurre il 20% del reddito di impresa dall’imponibile, aumentare il credito di imposta per i figli a carico e raddoppiare la già elevata soglia di esenzione sotto la quale non si applica l’imposta su successioni e donazioni. La maggior parte delle misure per individui e famiglie scadrà, a meno di rinnovo, a fine 2025. I Repubblicani al Congresso la scorsa settimana sono riusciti a far passare per un soffio una risoluzione ad hoc, ma la strada verso l’approvazione del ddl definitivo (senza i voti dei Dem) è in salita: secondo il Joint committee on taxation la proroga del TCJA costa l’astronomica cifra di 4.600 miliardi in un decennio che arrivano a 5.500 considerando gli interessi sul debito, la cui traiettoria secondo il presidente della Fed Jerome Powell è “insostenibile”. L’ala conservatrice del partito chiede ingenti tagli di spesa per non devastare i conti pubblici: significa colpire grandi programmi federali come Medicaid e l’assistenza alimentare, di cui beneficiano anche molti elettori di Stati repubblicani.

Un’alternativa per recuperare alcune centinaia di miliardi potrebbe essere appunto quella di far tornare l’aliquota più alta, applicata allo scaglione di reddito sopra i 626mila euro, al 39,6% dal 37% attuale. Opzione a cui il presidente Usa durante colloqui con diversi senatori si è detto “aperto”, stando a uno scoop di Semafor. Nei giorni scorsi Bloomberg ha riferito che, dopo ulteriori approfondimenti, al momento l’idea è quella di fissare l’aliquota al 40% e applicarla solo sopra quota 1 milione di dollari. Al netto di ogni considerazione sul fatto che in Italia un’aliquota ancora più alta (43%) si applica a partire dai 50mila euro, non sarebbe certo una grande svolta. Come fa notare la stessa agenzia Usa e confermano i sostenitori della tassa minima sui grandi patrimoni proposta da Gabriel Zucman, la mossa non sposterebbe di una virgola gli enormi benefici che la legge trumpiana offre – e continuerà a offrire se rinnovata – all’1% più ricco. Perché chi è in cima alla piramide dei redditi trae la maggior parte dei propri introiti da dividendi o dalla vendita di asset (azioni, immobili). E quei proventi continuerebbero ad essere tassati a un favorevolissimo 20%. In più resterebbe in vigore la criticata deduzione del reddito di impresa che consente a un imprenditore di versare in proporzione meno imposte di un suo dipendente. Non basta: i Repubblicani puntano ad alzare il tetto di 10mila dollari alla deduzione dalle tasse federali di quelle statali e locali, cosa che favorirebbe i contribuenti ad alto reddito residenti in aree e distretti particolarmente ricchi (e contesi sul piano elettorale).

Insomma: i miliardari continuerebbero a dormire sonni tranquilli. E Trump, in difficoltà nei sondaggi da quando ha avviato una guerra commerciale che rischia di innescare una nuova ondata di aumenti dei prezzi negli Usa e danneggiare pesantemente il suo elettorato working class, si giocherebbe una carta pesante considerato che a marzo una survey del Pew research center ha rivelato che quasi sei americani su dieci sono a favore di aumenti delle aliquote sui redditi superiori ai 400mila euro. Se non sorprende che l’81% dei Democratici sostenga la proposta, le risposte dei Repubblicani sono più inattese: la maggioranza relativa (43%) appoggia l’incremento, mentre il 28% lascerebbe le aliquote invariate e il 27% le abbasserebbe. Resta da vedere se sarà abbastanza per convincere il tycoon a rinnegare l’impegno a ridurre le tasse per (tutti) i benestanti in base alla vecchia e squalificata teoria dello “sgocciolamento” dei benefici ai lavoratori.

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