La tendenza “Aesthetic”: la vita in beige (e con la luce giusta)
- Postato il 8 novembre 2025
- Di Panorama
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C’è stato un tempo in cui bastava essere visibili. Poi è arrivato il tempo in cui bisognava essere veri. E ora siamo nel tempo in cui bisogna essere… aesthetic.
Aesthetic non è solo un aggettivo: è una missione. Un’estetica che non ha bisogno di spiegarsi, perché si presenta da sola: in forma di foto curata, luce calda filtrata da tende di lino, cerchietto di perle, scarpetta in velluto, tavolino anni ’70, mascara leggerissimo. Il concetto di casual è costruito pixel per pixel, e anche l’imperfezione deve avere una logica cromatica. Una palette vivente in toni neutri.
È la somma di molte tendenze fuse in una narrativa visiva precisa: un po’ di romanticismo rétro (coquette, old money, academia), una punta di malinconia esistenziale, e il desiderio di esprimersi in modo soft ma riconoscibile. Lo si vede nei colori: panna, burro, sabbia, rosa cipria, marroncino latte. E negli oggetti che arredano le stanze: specchi ovali, ceramiche imperfette ma poetiche, candele accese anche a mezzogiorno, anche con quaranta gradi all’ombra. Libri con sottolineature in grigio, piccoli dettagli che parlano in silenzio, segnalibro color corda, numeri delle pagine cancellati perché il nero stona.
Gli outfit? Scolastici, ma con charme: gonne a pieghe, cardigan corti, ballerine, fiocchi. Con questa tendenza si può diventare un misto tra Jane Birkin e un dolcissimo Trudy. In ogni caso, perfettamente in palette. Dai toni chiari, si intende.
A questo si sommano le varianti interne:
– la clean girl (viso lucido, sopracciglia pettinate, olio di argan),
– la dark academia (camicie bianche, Shakespeare, cappotti lunghi, caffè nero),
– la vanilla girl (camera chiara, playlist per lunedì tristi, coperta in pile panna).
Tutte convivono sotto lo stesso ombrello: quello dell’aesthetic. Che è, prima di tutto, un messaggio. Una dichiarazione esistenziale:
“sono fragile, raffinata, lievemente corrugata— ma con garbo.”
Essere aesthetic non vuol dire solo vestirsi in un certo modo. Vuol dire prendere appunti con penne beige, bere caffè con cannella in una tazza spaiata, fare la spesa con una tote bag in tela sdrucita ma chic, scegliere con cura la texture di ogni gesto. Avere, insomma, un piglio aesthetic. Qualunque cosa significhi.
Ogni reel deve sembrare spontaneo, anche se per sistemare la luce sulla pianta ci hai messo tre ore. Anche se la pianta nel frattempo è morta, ma tu la dipingi di un verde opaco, tenue. Quella pianta deve svolgere la sua funzione: essere il tocco di colore nelle foto. E lo svolgerà, costi quel che costi.
Il caos non è previsto, se non come elemento decorativo. Anche il disordine — purché in velluto — è voluto. E alla fine, il risultato è sempre lo stesso: una vita ordinata, dolce, sognante. Perfettamente editabile.
In una parola: aesthetic.