La storia d’Italia al citofono: gli spot pubblicitari che hanno fatto epoca
- Postato il 4 marzo 2025
- Di Panorama
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La storia d’Italia al citofono: gli spot pubblicitari che hanno fatto epoca
Suona il citofono. Un suono semplice, quotidiano, che tutti riconosciamo. Ma in Italia, nel magico mondo della pubblicità, quel "drin" ha spesso segnato l'inizio di storie indimenticabili. È stato il campanello d’ingresso a mondi surreali, siparietti comici e momenti di pura emozione. Dal vicino curioso al postino con la sorpresa, dalla nonna premurosa all’ospite inatteso, il citofono è diventato un vero e proprio strumento narrativo, capace di imprimersi nella memoria collettiva.
Ripercorriamo insieme gli spot che hanno trasformato un gesto ordinario in un'icona pubblicitaria, portandoci in viaggio attraverso i decenni della TV italiana.
Anni 80: quando la pubblicità era magia
Gli anni ‘80 sono stati l’epoca d’oro della pubblicità italiana. Jingle indimenticabili, slogan che diventano modi di dire e… citofoni che aprono le porte a mondi inaspettati!
Chi può dimenticare il Cacao Meravigliao? Un suono di citofono, una voce curiosa che risponde e poi, boom! Un’esplosione di colore, ritmo e irresistibile follia. E che dire della Mulino Bianco? Il citofono era l’annuncio dell’ospite speciale, dell’amico che arriva con una torta calda e un sorriso, in un mondo dove tutto era perfetto (anche troppo!).
In questa fase, il citofono non è solo un oggetto di scena: è il colpo di scena! Un elemento che crea attesa, curiosità e quel pizzico di magia che rende lo spot indimenticabile.
Anni 90: il citofono diventa comico
Gli anni ‘90 portano con sé un linguaggio pubblicitario più ironico e diretto. Il citofono non è più solo un annunciatore di sorprese, ma il protagonista di veri e propri sketch comici.
Ricordate lo spot di Vodafone Omnitel? Un uomo risponde al citofono e viene catapultato in una situazione assurda, dove ogni risposta genera un’escalation di caos. O la pubblicità di Algida, dove il citofono segna l’inizio di una catena di equivoci degna di una sitcom?

“C’è Gigi? “No.” “E la Cremeria?” Su questo dialogo al citofono nacque una fortunata serie di spot della Cremeria Motta, durata per tutti gli anni Novanta. La regia dello spot è stata curata da una grande del cinema italiano: Nanni Loy.Nello spot sono presenti solo due finestre sceniche, quella del salotto in cui è presenti la mamma e la sua famiglia e il monitor del citofono, un elemento tecnologico d’avanguardia all’epoca, in cui compaiono i volti degli amici di Gigi. Il breve filmato inizia con il suono di un citofono che fa alzare dal divano un’elegante signora, la quale intravede sullo schermo del citofono prima il viso di un ragazzo occhialuto che le chiede: “C’è Gigi?”. La risposta cortese della signora è “No”, così il ragazzo le pone subito un’altra domanda: “E la Cremeria?”. Stavolta la risposta però è positiva e il compagno di classe di Gigi può salire al piano del loro appartamento e mangiarsi il gelato.
La notizia del gelato si è però diffusa velocemente nella zona, tanto che nel giro di pochi secondi al campanello si presentano altri ragazzi che rivolgono la stessa domanda alla mamma e ne approfittano così per mangiare il loro gelato.Questo spot è dichiaratamente figlio del suo tempo: rappresenta alla perfezione come venivano gestite le relazioni tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90: si respirava un clima di fiducia e di unità di intenti, in cui bastava essere “amico dell’amico” per potersi fidare di qualcuno. Inoltre, lo spot rimanda a un modo di comunicare più diretto e meno filtrato, incui ancora non esisteva il cellulare e non si mandavano i messaggi istantanei: gli unici mezzi di comunicazione a distanza erano appunto i citofoni e i telefoni fissi, oltre alle lettere.
E poi c’era lui, il maestro della pubblicità italiana: Nino Manfredi nello spot di Lavazza. Il citofono non è più solo una porta d’ingresso, ma il filo diretto tra terra e paradiso. Un’idea geniale che univa ironia e poesia, trasformando una semplice suoneria in una firma indelebile nella storia della pubblicità.
Anni 2000-2010: il citofono diventa storytelling
Entra in scena il nuovo millennio e la pubblicità cambia pelle: meno slogan gridati, più storie coinvolgenti. Il citofono? Ora è il primo capitolo di una narrazione.
Arriviamo all’inizio degli anni 2000 per trovare un altro spot-tormentone, che deve il suo successo anche a un testimonial d’eccezione proveniente direttamente da Hollywood: George Clooney.

Lo spot, tra i più celebri e parodiati al mondo, vede il protagonista colpevole di essersi presentato a una festa a mani vuote, ovvero senza aperitivo. Quindi, la padrona di casa, indifferente al fascino dell’attore, gli rivolge l’iconica frase: “No Martini? No party!”. Si tratta di uno slogan entrato nell’immaginario collettivo che continua, dopo oltre vent’anni, a risuonare negli stadi, sui social, e ad apparire in titoli e inviti.
In questo spot, diretto da Colin Gregg, notiamo un modo diverso di gestire la relazione “filtrata” dal campanello di casa: stavolta la casa non è più un luogo di accoglienza o di ritrovo tra parenti e amici, ma diventa un posto esclusivo, non accessibile a tutti, e dove è possibile entrare solo se si rispettano determinati requisiti legati allo stesso codice di stile.
Lo spot di Sky lo usa per creare suspense: chi suona? Una nuova serie, un grande evento sportivo, un’offerta imperdibile! Enel, invece, lo trasforma in simbolo di cambiamento: ogni suoneria annuncia un’innovazione, un passo avanti verso il futuro.
Nel 2009, Universal Music pianificava lo spot per promuovere il nuovo album dell’eclettico artista londinese Mika: The boy who knew too much. Il promo è stato creato grazie al concept di un utente di Zooppa, piattaforma di advertising User-Generated.
Il video è semplice, coinvolgente e molto divertente: vede alcune persone di diversa età ed estrazione sociale, dal ragazzino all’uomo in carriera, citofonare sotto diversi palazzi.

Dopo il classico “Chi è?” dall’altra parte, tutti fanno partire dal cellulare il ritornello della canzone “Rain” e affermano “Mika”, per avvisare l’uscita del nuovo album del cantante londinese. Alla fine, compare sul citofono anche il titolo dell’album e dell’autore. Lo spot è un modo davvero indovinato di far sentire la presenza di Mika vicina alle persone, ai suoi fan.
In questo spot troviamo un ulteriore utilizzo del campanello di casa: stavolta nessuna volontà di ritrovarsi in casa o di “strutturare l’occasione”. Suonare il citofono diventa un veicolo mediatico, in questo caso per promuovere il nuovo disco di Mika, un esempio di marketing non convenzionale che sfrutta le nuove leve della pubblicità ed è figlia di una società sempre più “social”, che si basa sul passaparola che dagli smartphone arriva alle persone.
E poi c’è Kinder Bueno, con il ragazzo che suona al citofono per regalare un dolcetto alla sua crush. Romantico, leggero, irresistibile: il citofono diventa la scintilla che accende la storia, proprio come il primo messaggio in chat o il primo "ciao" imbarazzato.
Oggi: nostalgia e tecnologia
Oggi i citofoni stanno cambiando: videocitofoni, smart home, notifiche sul cellulare. Ma il loro fascino resiste, tanto che la pubblicità continua a usarli per evocare ricordi ed emozioni.
Pensiamo agli spot di Amazon Prime, dove il citofono annuncia situazioni familiari e divertenti, oppure a quelli di Nutella, che lo usa per risvegliare la nostalgia delle merende d’infanzia.
Forse non ci pensiamo, ma quel "drin" è rimasto dentro di noi: il suono dell’attesa, della sorpresa, della storia che sta per iniziare.
Dagli anni ‘80 a oggi, il citofono è stato molto più di un semplice oggetto: è stato un simbolo, una porta aperta su mondi fantastici, un suono che ha fatto battere il cuore (o scatenato una risata). La pubblicità ha saputo trasformarlo in un’icona, e chissà: forse il prossimo spot che entrerà nella storia sta già suonando alla nostra porta.
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