La storia di Angelo Donnici, travolto dalla giustizia mediatica e ucciso dalla gogna
- Postato il 10 dicembre 2025
- Di Il Foglio
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La storia di Angelo Donnici, travolto dalla giustizia mediatica e ucciso dalla gogna
“Ognuno di noi ha un punto limite, e quello era il suo. A mio padre potevano fare di tutto, aveva un carattere forte, ma l’arresto lo ha distrutto. Non si è più ripreso. Nemmeno il nipotino, nato da poco, riusciva più a strapparlo dal ricordo di quell’esperienza”. È quasi commosso, parlando col Foglio, l’avvocato Mario Donnici, figlio dell’ex sindaco di Mandatoriccio, Angelo Donnici, uno dei tre primi cittadini coinvolti nella mega-inchiesta “Stige”, condotta il 9 gennaio del 2018 dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro (all’epoca guidata da Nicola Gratteri) e conclusasi pochi giorni fa con l’assoluzione dei politici e degli imprenditori. Il nome del sindaco che per otto anni ha guidato il piccolo centro in provincia di Cosenza, però, è stato dimenticato quasi da tutti. Non da chi, come i suoi famigliari, hanno vissuto il suo dramma da vicino. Donnici aveva lasciato la carica di sindaco da qualche settimana, quando alla sua porta si presentarono all’alba le forze dell’ordine. Finì nel carcere di Cosenza con l’accusa di una turbativa d’asta, risalente addirittura al 2011, aggravata dal metodo mafioso (nello specifico, si trattava dell’affidamento dei lavori per il taglio boschivo). Ci rimase venti interminabili giorni. Chiunque lo conoscesse lo descrive come una persona perbene. E quando una persona perbene, e innocente, finisce dietro le sbarre, quello spesso è solo l’inizio della fine. L’ex sindaco subì un crollo fisico e psichico, di cui più volte hanno parlato i suoi legali, Tommaso Caliciuri e Roberto Laghi.
Il 29 gennaio di quell’anno il tribunale del Riesame di Catanzaro, però, annullò l'ordinanza di custodia cautelare. Secondo i giudici, infatti, “pur dovendosi ritenere sussistente un grave quadro indiziario inerente all’avvenuta turbativa d’asta (…), non è emerso che l’indagato abbia apportato alcun contributo concreto alla perpetrazione dell’illecito”. E ancora: “Non si rinviene dalle risultanze investigative l’evidenza di una sua diretta partecipazione agli accordi criminosi. Egli non risulta (…) aver preso parte alle conversazioni telefoniche di interesse investigativo, né il suo apporto viene richiesto, o comunque menzionato, dagli interlocutori”. Il Riesame aggiungeva che non vi era “evidenza di un suo diretto coinvolgimento nella vicenda da cui se ne possa inferire la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico”. Parole chiare, così commentate dai legali di Donnici: “Il tribunale del Riesame ha emesso un netto verdetto di innocenza”. Verdetto che, al contrario, non convinse la Dda di Catanzaro guidata da Gratteri, che impugnò l’ordinanza del Riesame. Ma nel maggio del 2018 la Corte di Cassazione dichiarò l'inammissibilità del ricorso, evidenziando che “gli elementi, di cui si censura l'omessa valutazione, non sono idonei a scardinare l'impianto dell'ordinanza, la cui ricostruzione fattuale risulta connotata da logicità e completezza e vede altri soggetti come gravemente indiziati di concorso, escludendosi un’attiva partecipazione del Donnici”.
Il 26 settembre del 2019 Donnici venne assolto dal gup distrettuale di Catanzaro, che così motivò la sentenza: “Rileva il giudice che nel capo di imputazione non è nemmeno descritta la condotta che avrebbe tenuto nella vicenda analizzata, e che, in ogni caso, dagli elementi raccolti non è possibile cogliere alcun comportamento penalmente rilevante. Deve pertanto concludersi per l’assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto”. “Anche dopo la scarcerazione decisa dal Riesame, l’unica fra i 169 arrestati, e dopo l’assoluzione – racconta il figlio Mario al Foglio – mio padre aveva continui attacchi di panico. Soprattutto quando incrociava una volante delle forze dell’ordine, o quando lo fermavano ai posti di blocco per un normale controllo. Nonostante l’aiuto psicologico che ha avuto da professionisti, e da noi famigliari, non è più riuscito a reagire”. “Io non so se quell’esperienza abbia influito sulla sua morte”, osserva il figlio dell’ex sindaco, “non ho certo la prova scientifica per poterlo affermare, ma mio padre è stato male a livello psicologico per anni, ed è impossibile che il corpo non ne abbia risentito”. “L’inchiesta ha colpito duramente anche tutte le cosche della zona, e a me fa piacere – dice infine Donnici – ma sa cosa ha fatto soffrire davvero mio padre? L’esposizione mediatica. Quella lo ha annientato”.
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