La spesa per la difesa è questione di vita o di morte. Così Meloni può sterzare l’Italia
- Postato il 6 marzo 2025
- Esteri
- Di Formiche
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L’Europa ha il 7% della popolazione mondiale, produce circa il 20% del Pil, gode del 50% dello stato sociale del mondo e ha una spesa di difesa minima, resa tanto più insignificante dalla mancanza di una industria militare coordinata, efficiente e tarata sulle vere esigenze. Questi in sintesi i dati forniti da Janan Ganesh sul Financial Times.
È come se ci fosse un villaggio di cento abitanti. Su una collina c’è una famiglia di quattro nonni, due genitori e un figlio. Grazie ai trattori producono il 20% del fatturato locale. Per difendersi hanno due vecchi fucili arrugginiti però nella dispensa c’è la metà dei formaggi, dei salami, della pasta, di tutto il paese. Quanto tempo ci vorrà prima che qualcuno del villaggio arrivi con i mitragliatori, stermini la famiglia e si rubi tutto? La spesa per la difesa è questione esistenziale, di vita o di morte, per l’Europa.
Certo, cambiare ogni cosa non è facile, riportare al fronte i nonni che hanno fatto trent’anni di guerra, oppure non l’hanno mai fatta, non è semplice. Ma bisogna partire dalla coscienza della gravità della situazione. Inoltre, i vari governi dell’Unione Europea devono mettersi d’accordo e in ogni paese si devono trovare amministrazioni di unità nazionale, non di maggioranza semplice, perché la sfida oggi è ben peggiore che durante la Guerra Fredda, quando da subito si sapeva di dovere affrontare i sovietici. In Italia, negli anni ‘70 e ’80, quando il pericolo era maggiore e il terrorismo di destra minacciava il paese, ci fu appunto un governo di unità nazionale.
Oggi come allora, chi è fuori da questa visione deve stare fuori dal governo. Questa sfida sembra cominci a essere raccolta in quattro paesi guida politica del Vecchio Continente, il Regno unito, la Francia, la Germania e la Polonia. La Spagna esita per ora, però in passato, nel momento della sfida, si è convertita di colpo. Gli stati più piccoli si preparano a seguire.
Il problema rimane per l’Italia dove, a parole, il governo segue l’amministrazione americana che ha scosso la Ue. Roma nei fatti strascica i piedi. Un problema concreto è che in Italia negli anni ‘70 i partiti erano molto strutturati e avevano una classe intellettuale e dirigente di valore. Oggi i partiti sono quasi movimenti leaderistici – escludono voci diverse e capacità intellettuali che possano minacciare i capi. Non è chiaro come l’Italia potrà uscire da questo circolo vizioso. Però il primo passo sarebbe riconoscerlo.
Il pallino è nelle mani del premier Giorgia Meloni. Non ci si può illudere: da sola non può sterzare l’Italia. Può però cercare un’unità nazionale che, per la realtà dei partiti attuali, vada fuori dalla rappresentazione parlamentare (per tante ragioni poco rappresentativa del Paese) e peschi nella società civile.