La sottosegretaria Bergonzoni attacca il ‘suo’ ministro Giuli sui giornali: lite su chi comanda, intanto il cinema si spegne
- Postato il 29 maggio 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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La scena è stata più o meno questa. Di buon mattino il ministro della Cultura Alessandro Giuli apre Libero, mica il Manifesto, legge un’intervista-fiume della sua sottosegretaria Lucia Borgonzoni e strabuzza gli occhi. L’intervista, non concordata, è un florilegio di stoccate: parla di cinema come se fosse appena arrivata, scarica su Giuli la colpa dei ritardi nei finanziamenti e propone, con candore, di togliergli la firma sugli atti. Come dire: il problema sei tu, il vero ministro sarei io.
Nell’intervista Borgonzoni conferma poi che sì, il vertice col mondo del cinema si farà il 6 giugno e che lei sarà in prima fila. Ma il Ministero la smentisce a stretto giro: no che non ci sarà, la sua presenza non è proprio prevista. E lei allora che fa? Chiama le agenzie, invoca la “smentita ufficiale” del ministro stesso e gli detta pure la risposta: “Giuli confermi il mio coinvolgimento”. Ma Giuli non conferma e non smentisce, che è peggio. La guerra di Palazzo fra i due – lei leghista, lui meloniano – deflagra così anche fuori dai corridoi.
Nel frattempo, il settore aspetta. Ai David di Donatello Pupi Avati aveva chiesto a gran voce un cambio di passo. La risposta, per ora, è una rissa di condominio tra i piani alti del ministero. L’unica certezza è che l’incontro col cinema, chiesto da mesi da centinaia di operatori, è diventato terreno di scontro interno al governo. E dire che la Borgonzoni è lì da otto anni, sotto tre governi. A lei si deve l’infelice riforma del tax credit che ha congelato l’intero comparto per due anni, e una crociata a senso unico contro registi e attori, dimenticando i produttori amici dell’Anica che intanto incassano. La riforma, talmente malfatta, è stata subito rattoppata dal ministero con un decreto correttivo. Se l’hanno cambiata, qualcosa non funzionava.
Nell’intervista incriminata, la senatrice leghista se ne lava le mani e detta soluzioni: “Per una maggiore tempestività nei provvedimenti amministrativi è sufficiente dare, come faremo, più poteri al direttore Cinema per sbloccare la situazione, visto che oggi quasi tutto deve invece essere con controfirmato dal ministro”. Come se la firma fosse un capriccio di Giuli e non una garanzia di controllo politico. Il punto, anche per chi del cinema non sa nulla, è tutto politico: Fratelli d’Italia e Lega si contendono lo scettro del potere culturale, ma si paralizzano a vicenda dopo essersi trovati nei panni facili dei fustigatori. Nel frattempo gli studi chiudono, i set saltano e migliaia di lavoratori restano fermi.
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