La Siria dopo Assad: le speranze per i diritti e la realtà delle violenze settarie. Così le Ong cercano di raccontare la situazione sul campo

  • Postato il 27 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Sicurezza è una parola scomparsa dal dizionario molto tempo fa”, dice Tamara Aboalwan, ricercatrice sul campo e attivista umanitaria originaria di Suwayda, Siria. Lavora per il Syrian for Truth and Justice (STJ) che dal 2016 documenta le violazioni dei diritti umani in Siria, non solo quelle commesse dal regime di Assad. “Abbiamo notato delle mancanze. Molte violazioni non venivano coperte, per questo è nata l’organizzazione”, racconta Bassam Alahmad, co-fondatore e direttore di STJ. Come quelle commesse da organizzazioni e gruppi estremisti. “Come l’ISIS, ad esempio”. Operando principalmente dal Nord-est della Siria durante il regime di Assad, grazie al lavoro di documentazione sul campo come quello svolto da Aboalwan, il STJ è riuscito a creare un database di testimonianze, inchieste e report. “Lavoriamo con persone che sono sul posto di cui spesso ancora non diffondiamo l’identità perché non c’è fiducia in questo governo”, spiega Alahmad. Come gran parte della popolazione, Aboalwan aveva festeggiato la liberazione della Siria a dicembre 2024, ma dopo quasi un anno la sua opinione nei confronti delle forze al potere è cambiata.

Dopo la caduta del regime di Assad il lavoro di documentazione e monitoraggio delle violazioni dei diritti umani portato avanti da think-tank e organizzazioni non-governative non è cessato. Le violazioni in Siria sono ancora costanti e di diversa matrice. I massacri commessi dalle autorità del governo di transizione, da forze a loro affiliate o da altri gruppi armati come quelli che sono avvenuti nelle regioni costiere nei confronti degli alawiti e nel sud della Siria, verso i drusi di Suwayda, hanno mostrato il volto di un Paese profondamente diviso. Come divisa è anche l’opinione delle organizzazioni per la protezione dei diritti umani, tra chi nonostante tutto ripone una maggiore fiducia nella nuova leadership siriana, e chi invece diffida apertamente.

“Sicuramente ci sono stati dei miglioramenti rispetto al periodo di Assad, ma non so quanto ancora vogliamo fare paragoni con il regime che era il male assoluto”, dice Fadel Abdulghany, direttore del Syrian Network for Human Rights (SNHR), altra organizzazione indipendente che dal 2011 si occupa di documentare la violazione dei diritti umani nel Paese. “Per 15 anni abbiamo lavorato in Siria dall’interno e dall’estero con alcuni dei nostri membri in fuga dal regime. Abbiamo pubblicato centinaia di report e inchieste sulla situazione dei diritti umani in Siria prima della caduta di Assad e anche dopo”, spiega Abdulghany sperando in una transizione democratica. Il nuovo governo di transizione guidato da Ahmad al-Sharaa, ex esponente dell’organizzazione estremista islamica Hayat Tahrir al-Sham, precedentemente affiliata ad al-Qaeda, è il primo ad essere stato accolto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dopo quasi sessant’anni, ma in casa fatica a tenere tutto sotto il suo controllo. A seguito della caduta del regime, a giugno il SNHR ha annunciato l’apertura della prima sede a Damasco. In questi anni i membri dell’organizzazione sono stati presi di mira da diverse parti e gruppi armati e hanno vissuto direttamente la repressione del regime di Assad attraverso i suoi metodi, subendo minacce, arresti arbitrari e rapimenti. “Tre dei nostri colleghi rimangono tuttora scomparsi”, continua. Adesso c’è spazio di critica: “Nessuno ci ha accusati o minacciati. Il nostro personale riesce a condurre visite e ad operare anche se abbiamo criticato il governo diverse volte”, precisa. “E’ un buon segno”.

Le violenze

Allo stesso tempo “c’erano preoccupazioni che questa nuova fase rappresentasse più un progetto arabo-sunnita che uno democratico. Ci aspettavamo delle tensioni ma non questa esplosione di violenza settaria” spiega Alahmad. Il Paese tiene infatti insieme varie realtà, ognuna con le sue élite locali e la sua struttura, che si ritrovano ad avere a che fare con autorità nazionali ed internazionali. “La Siria è fatta di tante comunità che ad oggi sono preoccupate. Su tutte le donne”, sottolinea Alahmad. Il timore, secondo STJ, è che una nuova dittatura stia avanzando nel Paese. “Quando vuoi costruire una nazione per tutti è necessario negoziare, mentre loro discutono con tutti tranne che con i siriani”, continua, sottolineando la mancata volontà di costruire uno Stato inclusivo. “Anche la conferenza di dialogo nazionale lo dimostra: durata qualche ora, dopo 54 anni di dittatura”, in riferimento alla conferenza organizzata dal governo di transizione il 25 febbraio. Il diffondersi di episodi di violenza di diversa natura è cominciato già all’indomani della caduta del regime. Un esempio è la storia di Hadi Akil, giovane sciita proprietario del Join Social Club, bar nel quartiere al-Baramkeh di Damasco che racconta di essere stato costretto a chiudere dopo che alcuni uomini affiliati o vicini al nuovo governo sono entrati armati nel locale durante una sessione di musica dal vivo, minacciando i presenti. Dopo che le minacce hanno raggiunto la sua famiglia, lui e suo fratello sono stati costretti a lasciare il Paese. Adesso vivono a Beirut e non possono tornare in Siria.

Nella prima metà del 2025 il SNHR ha documentato la morte di almeno 2.818 civili, di cui 201 bambini e 194 donne. Sebbene alcune di queste morti possano essere precedenti al periodo in cui sono state documentate, il rapporto indica che il governatorato di Latakia e quello di Tartous hanno registrato il più alto numero di morti, molti dei quali causati dall’esplosone della violenza sommaria di marzo. Il numero di vittime civili di marzo rappresenta infatti il 67% delle uccisioni registrate nei primi sei mesi dell’anno, con un picco di almeno 1.889 morti.

La costa e il Sud

“Ci sono elementi di genocidio”, afferma Alahmad in riferimento al massacro di alawiti avvenuto a marzo in diverse zone della costa e nelle città di Hama e Homs. “A centinaia di persone è stato chiesto se fossero alawiti oppure no”, continua. Gli scontri tra i fedeli dell’ex regime di Assad in maggioranza alawiti e i combattenti governativi o vicini alle nuove autorità siriane si sono trasformati in violenza sommaria su base settaria a cui il governo di transizione ha risposto con l’invio di forze di sicurezza in gran parte formate poco prima dalla dissoluzione di varie milizie in un’unica forza. Sempre secondo il report di SNHR, il mese di giugno ha registrato il più basso numero di vittime civili documentate, precedendo un altro massacro: quello che a luglio ha interessato il sud della Siria, il governatorato di Suwayda, a causa delle violenze e degli scontri tra milizie druse e fazioni beduine, cui si è aggiunta l’offensiva delle forze alleate al governo. “Un’operazione di sicurezza” sostenuta da milizie tribali ed estremiste rapidamente degenerata in guerra di strada.

In pochi giorni almeno 1.500 persone sono state uccise. Così, le dinamiche di violenza settaria viste sulla costa si sono ripetute al Sud. Dalle informazioni raccolte dal STJ, le violenze erano iniziate già tra aprile e maggio, con fazioni locali di combattenti drusi oppositori del governo di transizione per le sue radici islamiste da un lato, e forze di pubblica sicurezza con i loro gruppi armati dall’altro. “Ho documentato atrocità commesse nei confronti di persone della mia stessa comunità, senza poter accedere alla zona. Ci sono stati casi di donne rapite e a Suwayda le persone non hanno mai fatto esperienza di qualcosa del genere. Sono in uno stato di choc collettivo”, denuncia Aboalwan dalla Siria: in questo caso non solo documenta per il STJ, ma è parte integrante della comunità colpita. “Abbiamo raccolto centinaia di testimonianze dalla costa e decine da Suwayda. Le case sono state saccheggiate, le persone umiliate, torturate o uccise, così è cambiata la nostra opinione su questo governo che instituisce commissioni d’inchiesta che nessuno prende seriamente”, aggiunge Alahmad.

Le commissioni del governo sui crimini

Il governo di transizione di al-Sharaa ha istituito commissioni d’inchiesta per indagare sulle violenze, ma secondo un recente rapporto di Human Rights Watch, Syrian Archive e STJ sul massacro di marzo, forze governative o affiliate coordinate dal ministero della Difesa hanno commesso abusi che potrebbero essere considerati crimini di guerra e il lavoro delle commissioni manca di trasparenza verso le responsabilità degli alti funzionari e dei comandanti sul campo, creando un precedente che lascia aperta la porta a ulteriori rappresaglie e atrocità. “Ci sono stati segnali positivi come la presa di coscienza sul numero di persone uccise, ma credo che abbiano cercato di ignorare la responsabilità dello Stato e delle autorità, come anche la matrice settaria dietro ai massacri, parlando soltanto di vendette”, spiega Alahmad, intervistato prima dell’uscita del report. Secondo STJ la matrice settaria danneggerebbe l’immagine che la Siria cerca di costruirsi agli occhi della comunità internazionale. Le conclusioni del rapporto affermano che, seppur in assenza di ordini diretti, il governo ha giocato un ruolo centrale nel dispiegamento e nel coordinamento delle forze sul territorio anche dopo che crimini erano divenuti pubblici e dovrebbe adesso indagare le responsabilità istituzionali, oltre che individuali.

Le persone che hanno commesso gli abusi erano interni, collegati o hanno agito sotto il controllo del ministero della Difesa che ha in qualche modo permesso che ciò accedesse. “E questo è un gioco pericoloso: significa incoraggiare la guerra civile” conclude Alahmad. Il SNHR sottolinea come le commissioni dovrebbero essere solo il punto di partenza per il raggiungimento dei reali obiettivi da parte del governo: riconoscere le vittime, risarcire le famiglie e assicurare i responsabili alla giustizia.

Secondo le organizzazioni intervistate, anche la comunità internazionale ha delle responsabilità nel supportare la normalizzazione con il Paese pur in assenza di uno sforzo reale in direzione democratica e nel rispetto delle minoranze. “Una responsabilità etica e politica”, sottolinea Alahmad. “C’è bisogno del supporto anche logistico dei Paesi che hanno a cuore la stabilità della Siria”, sottolinea Abdulghany, ricordando come il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, sia stato tra i primi a visitare Damasco. “Hanno ereditato una sfida immensa, piena di riforme che adesso devono attuarsi”, riferendosi a chi ha guidato la rivolta ed è adesso al potere. “Ma mia mamma lo aveva detto: Ahmed al-Sharaa non è venuto a liberare la Siria. Una volta al-Qaeda, sempre al-Qaeda” conclude Tamara Aboalwan.

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