La scuola non può affrontare da sola tutte le sfide educative della società moderna

  • Postato il 15 aprile 2025
  • Di Panorama
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Ogni volta che qualcosa non funziona nella nostra società, la risposta è sempre la stessa: “Insegniamolo a scuola.” I ragazzi non conoscono i propri diritti? Serve più educazione civica. C’è un’emergenza affettiva? Facciamo educazione sentimentale. C’è la crisi climatica? Dedichiamo delle ore alla sostenibilità in tutte le classi. C’è l’AI che avanza? La scuola deve prepararli. Ogni fragilità, ogni urgenza, ogni episodio di cronaca che evidenzi un problema e ogni cambiamento epocale viene messo sulle spalle della scuola. Dalla primaria alle superiori, si pretende che insegnanti, docenti e dirigenti diventino esperti di tutto: tecnologia, emozioni, giustizia sociale, neuroscienze, pretendendo che ci siano risposte pronte, lezioni pronte, programmi pronti. Ma la scuola non è una macchina e i saperi che trasmette – con quale fatica! – non sono intercambiabili come fossero pezzi di un motore, o di un computer.

E mentre si aggiungono nuovi “compiti” alla scuola, si fa strada la strisciante sufficienza con cui si considera ciò che la scuola ha sempre fatto: insegnare.

Italiano, storia, matematica, geografia, scienze, filosofia… ogni volta si dice che non bastano più, che sono “vecchie”, “astratte”, “lontane dalla realtà”. Ma è davvero così? O abbiamo smesso di vedere quanto siano fondamentali per formare teste pensanti? Con che leggerezza oggi si dice – o meglio, si sostiene coi fatti, perché a parole sono tutti bravi – che studiare letteratura non serve, che la musica o l’arte sono inutili, che la storia si può tagliare, che la matematica è solo per chi fa “i conti”, che la geografia non serve più ora che ci sono i navigatori e così via. Come se bastasse parlare di attualità in classe, inseguendo “nuove competenze”, per fare di uno studente un cittadino consapevole. Così, mentre si chiede alla scuola di occuparsi di tutto, progetto dopo progetto e inserimento dopo inserimento, si sottrae il tempo e la dignità per fare ciò che dovrebbe essere il suo cuore: educare al pensiero. Insegnare a ragionare, a esprimersi, a leggere criticamente il mondo. Ciò che forma la base è svalutato, come se le fondamenta fossero superflue, come se non si fosse ancora capito – a questo punto, sarà così! – che dedicarsi solamente ai piani alti, anzi alla facciata, non può bastare e non può servire.

Inoltre, in un quadro così complesso in cui serve abituarsi alla complessità e a nuove sfide da aggiungere a quelle di sempre, anziché proporre l’esatto opposto fatto di semplificazione e sostituzione, la scuola non può farcela da sola. Ad esempio, non può sostituirsi alle famiglie. Non può colmare il vuoto affettivo, sociale, culturale che si crea fuori. Non può essere l’unico luogo per imparare a stare al mondo, per crescere andando verso la pace e non verso il conflitto, per avere uno sguardo sull’altro e non solo su se stessi. E non dovrebbe essere lasciata sola a tentare di rimettere insieme i pezzi di personalità e società sbriciolate.

Basta dire “la scuola deve fare di più”, serve iniziare a chiederci che cosa si sta facendo fuori dalla scuola come adulti, come comunità, come società. Perché educare non è solo compito di chi insegna. È una responsabilità collettiva. E se davvero vogliamo dare qualcosa di buono ai nostri figli, ai nostri studenti, dobbiamo smettere di pretendere che la scuola sia tutto. E iniziare, finalmente, a starle accanto. Avere guardato tutti “Adolescence” e avere fatto un post per il Dantedì il mese scorso, sia chiaro, non è stato sufficiente.

Autore
Panorama

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