La resa dei conti siriana, massacri contro gli alawiti (protetti da Assad). I pro al-Jolani: ‘Ci siamo ribellati al regime, ma la sfida è enorme’
- Postato il 12 marzo 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Quando si è sparsa la voce che una nuova operazione per la messa in sicurezza della costa sarebbe cominciata a breve, centinaia di giovani, provenienti dai villaggi sunniti delle montagne a ridosso della costa, hanno imbracciato il fucile e si sono diretti verso le zone abitate dagli alawiti. Il risultato, come denunciato dalle Nazioni Unite, è stata una carneficina: oltre 1.200 uccisioni in pochi giorni. Fra chi ha partecipato alle spedizioni c’è Himad, oggi membro delle forze di sicurezza stanziate in un piccolo villaggio fra Tartus e Homs. Prima della guerra, il miliziano faceva il contrabbandiere di sigarette ed era ricercato dal regime di Assad. Per anni, aveva vissuto latitante protetto grazie alla complicità di parte delle autorità locali e dei suoi soci in affari, alawiti, che, con lui, gestivano una fetta del traffico di sigarette con il Libano.
Raggiunto al telefono da Ilfatto.it, Himad dice di essere cambiato. “In passato ho sbagliato, ora sono tornato alla religione” si giustifica, tentando di glissare sul suo passato nel contrabbando. “Quando siamo arrivati verso l’area interessata dalle operazioni – spiega – le forze di sicurezza hanno detto ai volontari di tornare a casa. Così ho fatto anche io”. Dal 6 marzo, cioè da quando è cominciata l’escalation di violenza sulla costa, causata da diverse imboscate tese da miliziani alawiti fedeli al decaduto regime di Bashar al Assad, in cui sono morti oltre 300 uomini delle forze di sicurezza del nuovo governo, almeno mille sono invece i morti civili. Come i tre fratelli dell’attivista siriana (alawita) Hanadi Zahlout, rifugiata in Francia, arrestata e perseguitata dal regime di Assad, che sono stati sequestrati insieme a altri giovani e giustiziati sommariamente in un campo da soldati fedeli al nuovo governo. “Ci siamo ribellati al regime di Assad per costruire un Paese dignitoso, che rispetti la vita umana, e ora ci troviamo di fronte a una sfida enorme” ha detto Zahlout intervistata da media arabi.
Quando le violenze a danno dei civili alawiti commesse da gruppi appartenenti al neonato esercito siriano sono diventate di dominio pubblico, il presidente Hamad al Sharaa è però corso ai ripari. “Mi ha chiamata al telefono per farmi le condoglianze” ha raccontato la Zahlout. E, continua l’attivista, “mi ha promesso di formare una commissione di giudici ed esperti di diritto per indagare su quanto accaduto”. In effetti, a distanza di 48 ore da quella telefonata, il presidente Sharaa ha annunciato la creazione di una commissione indipendente per far luce sulle violenze commesse. Parlando con la Tv di stato ha detto: “Chiunque sia stato coinvolto nello spargimento di sangue di civili verrà giudicato, con fermezza e senza clemenza”.
Ma la costa rimane il banco di prova più difficile sul quale costruire la Siria del domani. Da secoli, quella fascia di terra è il crogiolo confessionale del paese: quelle che sono identificate come “minoranze” nel resto della Siria, lì possono diventare la maggioranza. Da Wadi al Nasara, “la valle dei cristiani”, zona a predominanza cristiana appunto, alle montagne che costeggiano l’autostrada che collega Tartus a Latakia, a maggioranza alawita, il passo è davvero breve.
Per alcuni sunniti, come Himad, che in passato contrabbandava sigarette verso il Libano insieme agli alawiti, il passato non conta più. Il risentimento confessionale, dovuto allo strapotere che la dittatura della famiglia Assad aveva concesso ad alcuni membri delle minoranze, in particolare alawita, è oggi vivo. Negli anni della guerra civile interi villaggi della costa erano stati svuotati della loro maggioranza sunnita, costretta a rifugiarsi in Libano a causa delle persecuzioni compiute dagli irregolari fedeli alla decaduta dittatura di Damasco. In 15 anni di conflitto, si è così assistito a un vero cambiamento della demografia confessionale della fascia costiera, per cinquanta anni enclave dei fedelissimi collegati ai clan alawiti che hanno supportato e sorretto l’ascesa al potere degli Assad. E tutto quel sangue è difficile da dimenticare.
Ma in queste ore, a segnare un passo importante verso la ricostruzione di una unità nazionale, è l’accordo fra Sharaa e Mazloum Abdi, a capo dell’SDF, esercito democratico siriano, controllato dal partito curdo dell’YPG, braccio siriano del PKK di Ocalan. I due hanno siglato un’intesa che prevede l’integrazione del SDF all’interno del neonato esercito siriano. Ed il passaggio del controllo amministrativo a Damasco di tutta la zona della Siria nel nord-est controllata dalle forze curde.
Il paese rimane un mosaico da ricostruire. Bisogna inserire i pezzi giusti, rispettando un fragile equilibrio che affonda le sue radici in secoli di convivenza e conflitto. Che ha le sue parti più delicate nelle città siriane affacciate sul Mediterraneo.
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