La pubblicità arriva su Whatsapp: spot negli “stati” e sui canali. La ong sui diritti digitali: “Contrario alle norme Ue”
- Postato il 16 giugno 2025
- Tecnologia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Sembrava dovesse essere l’unica app a rimanere “pura” della galassia di Meta, che – ricordiamolo – include Facebook e Instagram. E invece, Mark Zuckerberg è riuscito dopo quasi un decennio a portare a compimento quello che era probabilmente il suo progetto iniziale e a inserire anche WhatsApp nella triade della pubblicità. E questo, vedremo, è un problema per i regolamenti dell’Ue che sia Zuckerberg che Trump ritengono essere troppo restrittivi e che ostacolano il progresso tecnologico. Ancora di più se si tiene conto del fatto che le varie piattaforme potrebbero scambiarsi informazioni. Ma partiamo dai dati tecnici.
Stato e canali – La pubblicità arriverà su Whatsapp per due strade. Con inserzioni negli “stati”, i contenuti che durano 24 ore al massimo (un po’ come già accade tra una storia e un’altra di Instagram) e anche tramite canali promozionali per brand e aziende che potranno essere a pagamento in abbonamento mensile per fidelizzare il pubblico, il quale riceverà contenuti esclusivi. Una pratica che potrebbe essere utile, ad esempio, per chi crea contenuti e voglia monetizzare ciò che su Telegram finora è ad esempio gratuito. Ci sarà l’opzione “canali promossi” con cui “per la prima volta gli amministratori dispongono di un modo per aumentare la visibilità” del proprio spazio. La sezione ‘Aggiornamentì di WhatsApp che ospita appunto sia i canali sia gli stati viene “utilizzata da 1,5 miliardi di persone ogni giorno”.
Privacy – Meta ha specificato che non ci sarà accesso ai messaggi né ai numeri di telefono e alle conversazioni ma che potrà utilizzare posizione, lingua e anche il modo in cui gli utenti interagiscono con le inserzioni e i canali. In una parola: profilazione. “Non vendiamo né condividiamo il tuo numero di telefono con gli inserzionisti – ha spiegato il social – I messaggi personali, le chiamate e i gruppi di cui fai parte non saranno usati per determinare le inserzioni che potresti vedere”.
Questione monopolio – E per quello che avviene sulle altre piattaforme? “Se le persone utilizzano il Centro gestione account, verranno applicate le loro preferenze relative alle inserzioni, e per le inserzioni verranno utilizzate le informazioni provenienti da tutti i loro account” spiegano le informazioni tecniche sul sito. Una sorta di “mostro a tre teste” che potrebbe essere attivato con un tastino e con cui Meta prova monetizzare la sua piattaforma da 2 miliardi di utenti attivi al mese, dopo averla acquisita nel 2014 per 19 miliardi di dollari. Già a quel tempo si temeva che l’unione di queste piattaforme avrebbe generato un problema di monopolio (la Commissione Ue fu la prima a rilevarla) e ad aprile negli Usa si era aperto, dopo sei anni di indagini, il processo della Federal Communication Commission (FTC) proprio contro l’acquisizione di Instagram e Whatsapp e la creazione di un monopolio dei social, inizialmente agitata dal primo Trump, poi ripresa da Biden e ora, evidentemente, meno preoccupante. Un bel cambio di rotta.
La Ong: “Contraria alle leggi Ue” – Il Digital Markets Act (DMA) in vigore in Ue prevede in realtà proprio l’impegno a limitare i monopoli delle grandi aziende tecnologiche. “L’articolo 5(2) del DMA – spiega la Ong Noyb, il Centro europeo per i diritti digitali che ha sede in Austria – richiede il consenso libero dell’utente quando le aziende desiderano collegare i dati tra i servizi. Analogamente, il GDPR richiede il consenso ‘libero’ per la pubblicità personalizzata”. Gli utenti dovrebbero quindi avere sempre la possibilità di dire “sì” o “no”. Meta ha invece proposto l’opzione “Pay or ok”: se non si vuole essere profilati, bisogna pagare. Approccio che la Commissione Ue ha già ritenuto non valido. Anche perché – spiega la ong – il 99% degli utenti concede la pubblicità, non potendosi permettere di pagare la propria libertà digitale. Inoltre, l’Ue è il più grande mercato globale per WhatsApp in termini di potere d’acquisto. “Meta sta facendo esattamente l’opposto di quanto richiesto dalla legge UE – spiega Max Schrems, presidente di Noyb – I dati delle sue varie piattaforme vengono collegati e gli utenti vengono tracciati per scopi pubblicitari senza alcuna reale possibilità di scelta”.
L’appello – La Commissione Europea e le autorità nazionali per la privacy dovrebbero proteggere i cittadini dall’uso dei loro dati senza consenso: “Ma Meta ha appreso che non ci sono conseguenze reali. Non ci sono quasi sanzioni e quelle imposte finora non sono state pagate. Al contrario, sembra seguire l’approccio dell’amministrazione Trump e semplicemente ignora le norme dell’UE, ritenendole in qualche modo illegittime”.
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