La politica vaticana si spacca su Gaza: tutte le distanze (e le diffidenze) tra il moderato Prevost e il ‘neo bergogliano’ Parolin

  • Postato il 7 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Duro scontro tra Israele e il Vaticano. A far scattare la scintilla è stata l’intervista del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, a L’Osservatore Romano in occasione del secondo anniversario del massacro del 7 ottobre di Hamas contro Israele. “Sebbene sicuramente ben intenzionata”, afferma una nota stampa diffusa dall’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede, l’intervista “rischia di minare gli sforzi per porre fine alla guerra a Gaza e contrastare il crescente antisemitismo”, soprattutto perché “si concentra sulla critica a Israele, trascurando il continuo rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi o di porre fine alla violenza”. Nel suo ultimo intervento su Gaza, Leone XIV aveva usato parole più moderate di Parolin, come del resto è nel suo stile: “Esprimo la mia preoccupazione per l’insorgenza dell’odio antisemita nel mondo, come purtroppo si è visto con l’attentato terroristico a Manchester, avvenuto pochi giorni fa. Continuo ad essere addolorato per l’immane sofferenza patita dal popolo palestinese a Gaza”. Prevost, inoltre, aveva ricordato che “nella drammatica situazione del Medio Oriente, si stanno compiendo alcuni significativi passi in avanti nelle trattative di pace, che auspico possano al più presto raggiungere i risultati sperati. Chiedo a tutti i responsabili di impegnarsi su questa strada, di cessare il fuoco e di liberare gli ostaggi, mentre esorto a restare uniti nella preghiera, affinché gli sforzi in corso possano mettere fine alla guerra e condurci verso una pace giusta e duratura”.

Il rischio adesso è di una netta frattura nella politica vaticana su Gaza, con ripercussioni diplomatiche difficili da arginare. Se nel pontificato di Francesco era il Papa a intervenire, spesso a gamba tesa, e Parolin a cercare di far rientrare le tensioni diplomatiche, adesso i ruoli si sono completamente ribaltati. Leone XIV è molto prudente e misurato nei suoi interventi rispetto al suo immediato predecessore, mentre il suo segretario di Stato sta assumendo sempre più un ruolo di primo piano che con Bergoglio era assolutamente impossibile, soprattutto a causa dell’accentramento papale. Un ruolo, quello di Parolin, da battitore libero. Francesco gestiva in prima persona ogni cosa, a partire dalla diplomazia vaticana, spesso tenendo all’oscuro la Segreteria di Stato, a iniziare proprio da Parolin. Leone XIV, invece, si fida totalmente dei suoi collaboratori e ha ridato a ciascuno di loro, all’interno della Curia romana, quelle competenze che, nel pontificato precedente, erano soltanto formali. Il Papa, infatti, ha subito difeso il porporato: “Preferisco non commentare adesso, il cardinale ha espresso molto bene l’opinione della Santa Sede”.

C’è, però, un altro aspetto da non sottovalutare. Con i cosiddetti “briefing del martedì”, i brevi incontri con i giornalisti all’uscita da Villa Barberini, la residenza di Castel Gandolfo dove il Papa si reca ormai una volta alla settimana per riposare un po’, Leone XIV, paradossalmente, è molto più accessibile alla stampa. Pochi minuti settimanali per commentare i fatti di cronaca più salienti, a iniziare proprio dalla drammatica situazione di Gaza, argomento più frequente di questi briefing. È evidente che questa inaspettata e costante esposizione mediatica di Prevost ha dirottato i giornalisti a Castel Gandolfo. Quelli stessi cronisti che solitamente seguivano Parolin nelle sue molteplici uscite pubbliche, sia durante il pontificato di Francesco che in quello di Leone XIV. Il segretario di Stato, che ai suoi più stretti collaboratori ha espresso il suo totale dissenso per i rischi di questa costante esposizione mediatica papale, è ritornato al centro della scena con l’intervista su Gaza.

Il pericolo, però, è quello di una diarchia nella politica estera vaticana, con un cortocircuito che potrebbe creare non pochi problemi alla consolidata e raffinata diplomazia dello Stato più piccolo del mondo. Un terreno quest’ultimo dove Leone XIV si sente molto a disagio, come lui stesso ha confessato, ma che lo vede protagonista assoluto, soprattutto nei colloqui bilaterali con i capi di Stato e di governo di tutto il mondo. La Segreteria di Stato ha il compito di preparare dossier accurati per gli incontri del Pontefice con i leader del pianeta, ma poi dev’essere Prevost a studiarli e farli suoi. A cinque mesi di pontificato sembra essere proprio questo il tallone d’Achille papale. Non c’è altro tempo da perdere, anche perché Leone XIV è alla vigilia del suo primo viaggio apostolico che lo vedrà in Turchia, dal 27 al 30 novembre 2025, in occasione dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, commemorazione che avrebbe voluto fare Francesco, e poi in Libano, dal 30 novembre al 2 dicembre 2025.

Infine, non si può sorvolare sullo spoils system che è in atto in Segreteria di Stato. Entrambi i numeri due della prima, quella per gli affari generali, e della seconda, quella per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, sezioni hanno ricevuto nuovi incarichi fuori Roma. Il braccio destro dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, monsignor Miroslaw Stanislaw Wachowski, è stato appena nominato nunzio apostolico in Iraq, con dignità di arcivescovo. Mentre il numero due della prima sezione, monsignor Roberto Campisi, è stato nominato osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco, con l’incarico di seguire anche l’attività delle organizzazioni internazionali cattoliche. Una nomina, però, non accompagnata dall’episcopato, come è prassi abbastanza consolidata quando all’assessore della prima sezione viene affidato un nuovo incarico. Campisi non ha nascosto il suo totale disappunto, non presentandosi in Segreteria di Stato al momento della pubblicazione della sua nomina. Un gesto con il quale ha voluto marcare anche la sua distanza dai suoi due superiori in Segreteria di Stato, Parolin appunto e il sostituto, l’arcivescovo Edgar Peña Parra. Un episodio che fa comprendere maggiormente come la diplomazia vaticana viva un momento di difficoltà, come del resto è fisiologico a ogni cambio di pontificato.

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Il Fatto Quotidiano

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