La Notte dei Morti in Sicilia: l’attesa dei bambini tra Palermo, Catania, Messina e Siracusa

di Annalisa Crupi

2 nov. 2025 – In Sicilia, la notte dei defunti non è stata soltanto un momento di raccoglimento religioso. È stata, per secoli, una lingua familiare, un modo per raccontare ai bambini che la morte non interrompe l’amore, ma lo trasforma. La Festa dei Morti, o a Festa di li Morti, affonda le sue radici nel X secolo, quando l’abate Odilone di Cluny istituì la commemorazione universale dei defunti, poi estesa a tutta la Chiesa. Ma nell’isola, dove la fede si intreccia da sempre con la vita quotidiana, quella ricorrenza divenne un rito domestico, intimo, popolare.

Dal XVII secolo in avanti, la Sicilia trasformò il giorno dei morti in una vera e propria festa dell’infanzia. Durante la notte tra l’1 e il 2 novembre, si credeva che i defunti tornassero nelle case dei loro cari per lasciare doni ai più piccoli. Era la notte dei “morticini”, un incontro invisibile tra generazioni, dove il confine tra i vivi e i morti si addolciva in un gesto d’amore. I bambini si addormentavano presto, ripetendo il proverbio che ancora oggi risuona nella memoria collettiva: “Prima mi cuccu e prima agghiorna”, prima mi addormento e prima arriva il giorno tanto atteso.

Nelle case si preparava un tavolino o un angolo speciale, dove i defunti avrebbero lasciato i regali. Al mattino, il miracolo si compiva: il cannistru, il cesto colmo di dolci, frutta martorana, giocattoli di legno e pupi di zucchero, attendeva i bambini che correvano per le stanze con gli occhi spalancati dalla meraviglia. I più buoni ricevevano i doni desiderati, i più vivaci trovavano anche un po’ di carbuni niuru, ma nessuno restava dimenticato.

Le fonti storiche testimoniano la profondità e la diffusione di questa usanza. A Palermo, documenti del XVII secolo conservati presso l’Archivio di Stato menzionano la vendita di “figure di zucchero” durante le fiere di novembre. Gli inventari di botteghe e mercati riportano la produzione di pupi di zuccaru, dolci colorati raffiguranti cavalieri, dame e santi, destinati alla festa dei defunti. Giuseppe Pitrè, nel suo monumentale repertorio del folklore siciliano, descrive Palermo come la culla di questa tradizione, dove la notte dei morti era considerata “un Natale in anticipo”.

A Catania, nell’Ottocento, il rito si espandeva ai mercati cittadini, come attestano cronache e giornali locali. Il periodico L’Etna del 1875 descrive bambini che, la mattina del 2 novembre, affollano le strade per mostrare i doni ricevuti. Le famiglie preparavano cannistri ricolmi di biscotti e dolci di mandorla, e nelle piazze si vendevano giocattoli e “ossa di morto”, mentre il profumo della frutta martorana riempiva l’aria.

A Messina, le fonti raccolte da Pitrè e i documenti d’archivio ottocenteschi testimoniano un intreccio tra rito religioso e domestico. Le famiglie si recavano al cimitero per pregare e poi tornavano a casa a condividere i dolci con i bambini, che al mattino trovavano il cestu pieno di frutta secca, biscotti e piccoli doni. Registri municipali e relazioni parrocchiali citano le fiere allestite lungo la via Garibaldi e nei pressi del Duomo, con bancarelle di pupi di zucchero e giocattoli in legno. In alcune note popolari, trascritte nel primo Novecento, si racconta che le famiglie più povere si scambiassero piccoli regali per non lasciare senza dono neppure un bambino del vicinato.

A Siracusa, la festa è documentata in atti della Prefettura e nei fascicoli dell’Archivio di Stato risalenti all’Ottocento. Le carte riportano richieste di autorizzazione per le “fiere dei morti” in piazza Santa Lucia e ai Villini, dove si allestivano banchi di dolci e giocattoli. I cronisti descrivono notti animate da lanterne e musica, e bambini che, al risveglio, cercavano per casa i doni lasciati dai “morticeddi”. La città, come molte altre dell’isola, viveva così un momento in cui la pietà religiosa e il gioco infantile si confondevano in una tenerezza collettiva.

Ovunque, in Sicilia, la festa dei morti è stata un racconto d’amore più che di lutto. Un rito che parlava la lingua dei bambini, custodi inconsapevoli della memoria familiare. Nella loro attesa c’era il senso più profondo di questa tradizione: la continuità tra i vivi e i morti, tra passato e presente. Quando al mattino correvano nei cortili o nelle piazze per mostrare i doni ricevuti, la gioia diventava un atto di fede nella vita stessa.

Col passare dei decenni, questa usanza si è attenuata, travolta dalla modernità e dalle mode globali. Halloween ha sostituito i morticini, ma non ha cancellato la memoria. Ancora oggi, nei mercati siciliani di fine ottobre, i pupi di zucchero fanno capolino tra i banchi, e il profumo della frutta martorana riporta all’infanzia di chi, da bambino, si svegliava convinto che i suoi nonni, invisibili e buoni, fossero tornati a trovarlo.

La Festa dei Morti è rimasta uno dei riti più poetici della cultura siciliana: una celebrazione dell’amore che supera la morte, una lezione di umanità trasmessa attraverso lo stupore dei bambini. Perché in quella notte di novembre, tra zucchero, sogni e memoria, la Sicilia insegnava – e insegna ancora – che l’amore non finisce mai, si trasforma soltanto in dono.

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Bibliografia e fonti

Giuseppe Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. II, Palermo, 1889.

Archivio di Stato di Palermo, Sezione Antica, serie “Fiere e mercati”, docc. XVII–XVIII secolo.

Archivio di Stato di Catania, serie “Atti municipali”, fasc. 1875–1890.

Archivio di Stato di Messina, fondo “Amministrazione civica”, registri delle fiere di novembre, XIX secolo.

Archivio di Stato di Siracusa, fondo “Prefettura – Manifestazioni pubbliche”, fasc. 1870–1895.

Periodico L’Etna, anno II, n. 45, novembre 1875, Catania.

Interviste e raccolte orali di tradizione popolare pubblicate in Archivio per lo Studio delle Tradizioni Popolari (1881–1906).

Fotografia copertina riportata nella brochure della mostra PALERMO – Mon Amour curata dalla Fondazione Merz mostra “Bambini nel costume di cowboy ricevuto dai Morti, 2 novembre 1959, Palermo”.

Foto copertina: Vetrina con cestino di frutta martorana (immagine d’archivio, bianco e nero).Fonte: Istituto Luce / Archivio Luce

Foto della tradizione dei Pupi di zucchero (o “pupaccena”) legata alla Festa dei Morti in Sicilia

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Annalisa Crupi

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