La mancata sanità al sud

  • Postato il 18 settembre 2024
  • Ospedale
  • Di Panorama
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La mancata sanità al sud



Da una parte c’è la narrazione di chi nel Meridione rifiuta la riforma per l’autonomia differenziata, profetizzando il disastro totale negli ospedali. Dall’altra ci sono i numeri (e i casi inaccettabili di «mala assistenza») che Panorama documenta in questa inchiesta. In Campania, Puglia, Calabria e Sicilia la situazione è già oltre il collasso. E nulla potrà migliorare, senza un cambiamento radicale.


Elena avrà per sempre tre anni. È morta nell’ospedale Santobono di Napoli per un infarto addominale (non diagnosticato) dopo tre ricoveri. Due medici sono indagati: scambiarono un volvolo intestinale per una crisi glicemica da diabete infantile. A Boscotrecase, a qualche decina di chilometri, una bimba di tre mesi è stata invece uccisa dalla bronchilite perché il Pronto soccorso è chiuso da tre anni. Non è che il peggio deve ancora venire, è già arrivato: solo che non conviene dirlo. Soprattutto quando si parla di sanità e autonomia differenziata, la riforma per cui le Regioni si emancipano per vincoli statali su gestione delle risorse, programmazione e personale per raggiungere un’indipendenza quasi assoluta nel comparto salute. L’opposizione, fieramente avversa, sostiene che il federalismo distruggerà il Servizio sanitario nazionale frantumandolo in tanti apparati regionali di assistenza a tutto danno del Meridione. La verità è che la situazione attuale è proprio questa e non da oggi e certo non per colpa dell’autonomia differenziata. Lo sostiene finanche chi, come la Fondazione Gimbe, battaglia contro il decentramento. «A fronte di un Ssn ispirato 45 anni fa dai princìpi fondanti di universalità, uguaglianza, equità, oggi ci ritroviamo 21 sistemi sanitari regionali profondamente diseguali, con i residenti nella maggior parte delle Regioni meridionali a cui non sono garantiti nemmeno i Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr)», scrive il centro studi in un dossier parlando di «frattura strutturale Nord-Sud» che compromette «qualità dei servizi sanitari, equità di accesso, esiti di salute e aspettativa di vita alla nascita». I detrattori insomma evocano un pericolo che è già realtà, omettendo al contempo di bilanciarlo con le opportunità che l’autonomia potrebbe garantire a una classe dirigente capace per accedere a nuovi strumenti e poteri di gestione.

Non si tratta di narrazione, ma di numeri: il Sud è già indietro su tutto. I saldi passivi superiori a un miliardo di euro per la mobilità sanitaria (pazienti che vanno a curarsi in altre regioni) sono tutti concentrati dal Garigliano in giù: Campania (-3,38 miliardi di euro), Calabria (-2,97), Sicilia (-2,35) e Puglia (-2,1). Sul fascicolo sanitario, Campania, Sicilia e Calabria han fatto poco meno del 5 per cento del lavoro necessario. E, per raggiungere il target indicato dal Piano nazionale ripresa e resilienza sull’assistenza domiciliare, invece, la Sicilia deve migliorare del 131 per cento gli standard attuali, la Campania del 294, la Puglia del 329, la Calabria del 416 per cento. Un’utopia. Dal 2021, con la riforma dei Lea, tutti i sistemi sanitari meridionali sono stati bocciati: la Calabria ha ottenuto 160 punti su 300, la Sicilia 183, la Campania 198,6 e la Puglia 209,3. Analogo scenario nei 10 anni precedenti (2010-2019) con tre regioni (Sicilia, Calabria e Campania) in zona retrocessione e una sola (Puglia) in lotta per la salvezza. Non è d’altronde un caso che tutte le regioni del Mezzogiorno (tranne la Basilicata) siano in regime di piano di rientro dal maxi-deficit mentre addirittura la Calabria risulti ancora commissariata. Eppure è strano notare come, in questo disastro generalizzato, nessuno dei governatori si lamenti: forse perché i soldi per tappare le voragini di bilancio arrivano sempre e comunque da Roma?


È un fatto oggi che clientelismo e propaganda vincano su efficienza, efficacia e prassi corrette. Ed è un fatto pure che il fronte bipartisan dei presidenti (i dem Vincenzo De Luca per la Campania e Michele Emiliano per la Puglia, e il forzista Roberto Occhiuto per la Calabria) voglia affossare il Disegno di legge presentato dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli. Il sistema sanitario meridionale è un altoforno che brucia decine di miliardi all’anno tra sprechi, disorganizzazione e burocrazia. E finanche il sistema dei ticket (il contributo a carico dei pazienti) dimostra tutta l’inefficienza di questi modelli sanitari con costanti riduzioni degli introiti: Sicilia -32 per cento, Puglia -20 per cento, Campania -15 per cento. Per la Calabria mancano addirittura i dati consolidati. E di fronte al quadro che descriveremo in queste pagine ci si chiede: davvero l’autonomia differenziata può fare peggio di così?

Campania: la spesa è sospetta

Nella regione in cui la sanità pesa per 11 miliardi di euro sul bilancio, mancano i professionisti della salute: servirebbero almeno quattromila medici e settemila infermieri. Codice rosso per quelli di base: entro un anno e mezzo dovrebbero esserne reclutati quasi 400 altrimenti mezzo milione di campani resterà senza copertura sanitaria, in pratica uno su 10. Spariscono gli specialistici: nel 2025 il saldo tra assunzioni e uscite sarà negativo per 1.090 unità. Servono camici bianchi di urgenza/emergenza, anestesia, rianimazione, chirurgia generale, geriatria, fisiatria, oncologia e radioterapia, mentre i sindacati denunciano che la Regione finanzia contratti specialistici superflui per branche già operative come endocrinologia, gastroenterologia e medicina legale. I tetti di spesa per la sanità convenzionata si esauriscono nel giro di poche settimane e nel pubblico le liste d’attesa sono bibliche. E insondabili. Le Asl non comunicato informazioni al riguardo. Sono segretate come un piano di guerra.Dopo il Covid, decine di strutture (reparti, Pronto soccorso, interi ospedali) sono rimaste chiuse. La Procura della Corte dei conti sta provando a inseguire furbetti e vecchie volpi che si arricchiscono sulla pelle dei cittadini, ma la battaglia è difficile. «C’è una inadeguatezza dei controlli», denuncia il procuratore, Michele Ferrante. «Per la spesa sanitaria convenzionata basterebbe un informatico che programmi i sistemi e non ci scapperebbe più un euro. Ma abbiamo testato con mano vedendo i singoli funzionari... è come sparare sulla Croce rossa. C’è gente che non sa accendere il computer...». Stesso tenore da parte del pm Davide Vitale: «Sempre durante la pandemia, i centri di riabilitazione presero soldi senza erogare le prestazioni a distanza». E il collega, Mauro Senatore: «Abbiamo testimonianze indirette di persone che non arrivano a fine mese e avrebbero dovuto pagare di tasca loro analisi semplici, come il colesterolo, perché i budget dei centri privati erano esauriti, laddove abbiamo riscontrato che c’era uno spreco inaccettabile». Nei mesi scorsi, il tribunale di Napoli ha condannato l’ospedale Cardarelli a risarcire oltre 920 mila euro agli eredi di un uomo morto in seguito a un’errata diagnosi. Sentenza simile ha riguardato il decesso di un altro paziente ai cui familiari sono stati riconosciuti dai giudici 700 mila euro di indennizzo da parte dell’Asl. I figli di una pensionata di 68 anni, scivolata nella doccia e morta dopo il ricovero sempre nell’ospedale di Boscotrecase, sono stati risarciti invece con un milione di euro. A Benevento, è risultata fatale a un uomo l’operazione per realizzare un bypass gastrico. I casi sarebbero tanti, troppi. È la «Spoon River» campana.

Una Puglia senza dottori

Pur in presenza di una sanità che vale 8,4 miliardi di euro, la regione soffre la mancanza di medici (1.600) e infermieri (cinquemila). In particolare, nel 2026 verranno a mancare oltre 170 medici di base. Acque agitate pure sul fronte specializzazioni. Sono necessari quasi 1.700 specialisti per pronto soccorso, cardiologia, chirurgia generale, ginecologia, medicina interna, ortopedia, pediatria e radiodiagnostica. Al contrario, ci sono 66 fisiatri e 23 neuropsichiatri in più: la Puglia, infatti, ha finanziato contratti a oggi «inutili» preferendoli, per esempio, a quelli urgenti per anestesia e rianimazione. I medici vivono in trincea e non per modo di dire. Uno su due è stato aggredito in corsia. L’ultimo pestaggio, nel Foggiano, pochi giorni fa, ai danni degli operatori del Pronto soccorso, costretti a barricarsi in una stanza per sfuggire alla furia di una cinquantina di criminali, ha fatto scattare uno sciopero di solidarietà di tutto il personale regionale.

Decine le vicende di malasanità: una pensionata è stata dimessa dall’ospedale di Galatina senza che i medici si accorgessero del cancro allo stomaco che le impediva persino di bere. A Brindisi una donna ha denunciato l’ospedale che per errore le ha asportato il surrene sano. Anche qui la Procura contabile è al lavoro sugli sprechi sull’ospedale Covid della Fiera del Levante e la gestione della pandemia.

La Calabria? È la più disorganizzata

Questa regione il buco nero della sanità italiana: il 7 settembre scorso persino Nino Spirlì (presidente della Calabria dall’ottobre 2020 allo stesso mese del 2021) ha accusato il sistema sanitario regionale per i ritardi nella diagnosi del suo tumore: in un post Facebook ha spiegato che i suoi numerosi ricoveri tra Polistena e Reggio Calabria non sono riusciti a riconoscere la malattia, «subito stanata invece a Milano: forse parlava lumbard». Ma i casi di malasanità sono da sempre una piaga: Christian G., di 34 anni, muore la notte del 30 giugno scorso - probabilmente per un’emorragia interna - poche ore dopo essere stato dimesso dall’ospedale di Locri (Reggio Calabria): due medici e un infermiere sono indagati per omicidio colposo. Il 14 agosto scorso, una coppia di turisti milanesi è vittima di un incidente in moto a Nicotera. La donna è grave: rimane sull’asfalto per 95 minuti, aspettando l’ambulanza che alla fine arriva senza medico. E risuona ancora l’eco della ragazzina di 16 anni morta nel dicembre 2007 all’ospedale di Vibo Valentia, durante una tracheotomia d’urgenza che nessuno dei medici era riuscito a praticare: la commissione d’inchiesta che andò successivamente a indagare sul caso era guidata da Ignazio Marino. Da allora sembra che nulla sia cambiato. Entro il 2026 verranno a mancare almeno 1.400 medici specialisti, soprattutto in reparti come l’emergenza-urgenza, la pediatria, la medicina interna e la cardiologia. Il decreto Calabria, che ha permesso l’assunzione di medici stranieri, ha creato molte storture: il Pronto soccorso di Cosenza, in pieno agosto, si è trovato in enormi difficoltà perché sei medici cubani sono andati in ferie nel loro Paese, tutti insieme, per un mese. E se nel 2020 il personale sanitario era costato (dati Agenas) 913 milioni di euro, per quanto riguarda la spesa complessiva mancano anche i numeri precisi: si può solo ipotizzare un importo simile a quella della Puglia (8,41 miliardi) e della Sicilia (10,09 miliardi).

Sicilia, sprechi nel grande buio

L’estate appena trascorsa è stata drammatica per la Sicilia: Francesca C., 62 anni, veniva da Legnano ed era in vacanza. È morta il 10 agosto scorso al «Barone Romeo» di Patti da dove era stata dimessa con la diagnosi di indigestione: aveva invece un’occlusione intestinale. Giovanna P., 43 anni, arrivata anche lei da Legnano, è morta il 23 agosto all’ospedale di S. Agata di Militello, in provincia di Messina: la colpa è stata data a una puntura d’insetto, ma sul caso già indagano i carabinieri. Il 14 agosto, al «Di Maria» di Avola un uomo di 53 anni con dolori al collo, all’addome e formicolio a una gamba è stato subito dimesso con una blanda terapia per gastroenterite: appena tornato a casa, è spirato. Sono solo tre casi di una lunga serie, in una regione dove l’assistenza sanitaria è al tracollo. Nel novembre 2023, l’assessorato alla Salute, pubblicando un bando per il reclutamento di medici stranieri, ha messo nero su bianco i numeri dei professionisti che mancano: 1.494, dei quali 324 per anestesia e rianimazione, 302 per l’emergenza, 152 per medicina interna, 127 per cardiologia. Sono stati finora selezionati circa 130 camici bianchi argentini: ovviamente ci sono stati anche diversi casi per cui è stato necessario organizzare di gran carriera corsi di italiano. Tutto in una regione dove nel 2020, secondo i dati Agenas, per il personale sanitario sono stati spesi 2,3 miliardi di euro, mentre la spesa complessiva è stata pari a 10 miliardi: 5,47 dei quali per l’assistenza distrettuale e 4 per quella ospedaliera. Anche nel 2024, nel bilancio di previsione della regione, per la sanità sono stati stanziati 10 miliardi e mezzo di euro. Gli infermieri, in Sicilia (stime Gimbe) sono 3,77 dipendenti ogni mille abitanti, a fronte di una media nazionale di 5,06. Dati che relegano la Sicilia a penultima in Italia: peggio fa solo la Campania. Un primario ospedaliero dell’isola, commentando la situazione sanitaria, cita un antico detto regionale, che riassume bene quanto scritto finora: Cchiù scuru ’i menzannotti nun po’ fari. Non può esserci più buio di quanto ne faccia a mezzanotte. In altre parole: in sanità peggio di così non si può andare.

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