La Lega come M5S, ma nessuno osa ancora sfidare Salvini. L’opinione di Cangini
- Postato il 17 dicembre 2024
- Politica
- Di Formiche
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Abbiamo trascorso le ultime settimane godendoci lo spettacolo tragicomico dello psicodramma grillino. Accuse e minacce, vecchi tradimenti e nuovi allineamenti. Il tema, noto, è stato quello dell’identità perduta. Forzosamente perduta da un leader nuovo (Giuseppe Conte) che ha fatto fuori il vecchio fondatore (Beppe Grillo), ha ripiegato le bandiere del passato ed ha inastato un unico vessillo recante la propria imperitura effige. Un partito personale, in tutto e per tutto opposto al Movimento delle origini, di cui conserva sì e no un terzo dei voti.
Accade oggi qualcosa di simile, di molto simile nella Lega. Ma accade timidamente e con un decennio di ritardo. Matteo Salvini fu eletto segretario di quella che ancora di chiamava Lega Nord nel dicembre 2013. Una manciata di mesi dopo, all’inizio del 2014, in vista delle elezioni europee stringe un patto d’acciaio con il Front National di Marine Le Pen, seguito da un accordo di carta stagnola con Casapound. Ma niente, nessuna reazione degna di nota all’interno del partito. Siamo solo all’inizio.
A fine 2014 il “Capitano” lancia Noi con Salvini nel Centro e nel Sud Italia, nel maggio 2017 vince le primarie per la segreteria del partito con lo slogan “Prima gli italiani!”, nell’ottobre 2017 annuncia la scomparsa dell’aggettivo qualificativo “Nord” dal nome del partito e nel dicembre dello stesso anno fonda Lega Salvini Premier. È a questo punto chiaro che la Lega Nord di Umberto Bossi ha cambiato radicalmente pelle, passando d’un balzo e senza spiegazioni né discussioni dal secessionismo al nazionalismo, che sarebbe come a dire dal comunismo al liberalismo. Un cambiamento radicale accolto, al massimo, con qualche mugugno e qualche frecciatina pronunciata a denti stretti sotto garanzia di anonimato.
Matteo Salvini sfonda così la soglia del 30% dei consensi, poi, fatalmente, inizia a precipitare come una foglia trasportata dal vento. Tutto quello che tocca va in malora. Ma ancora niente, colonnelli e governatori fanno buon viso.
Ora che la Lega, superata da Forza Italia, si dimena attorno all’8%, ora che il personale politico rastrellato nel Mezzogiorno ha preso la fuga, ora, insomma, che la prospettiva di partito nazionale ha mostrato la corda, ecco le rimostranze dei Fontana e persino quelle di un ex fedelissimo come Massimiliano Romeo. “Non siamo di destra”, “basta col nazionalismo”, “torniamo ad occuparci del Nord” e amenità del genere. Ma ancora nessuno che osi sfidare il Capitano. C’è tempo: se venerdì Matteo Salvini sarà così fortunato da ricevere una condanna al processo Open Arms se ne riparlerà tra altri 10 anni.