La grande fuga dal ministero di Nordio: dimissioni a raffica e nomine bloccate, senza guida tre dipartimenti su cinque
- Postato il 10 maggio 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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Sei alti dirigenti dimissionari in poco più di un anno, tre dipartimenti su cinque rimasti ufficialmente senza un capo. Sono i numeri record (in negativo) della grande fuga dal ministero della Giustizia di Carlo Nordio: un’emorragia senza precedenti che ha avuto il culmine mercoledì scorso, quando il Consiglio superiore della magistratura ha dato l’ok al ritorno in toga di Luigi Birritteri e Gaetano Campo, i due magistrati scelti dal ministro per guidare rispettivamente i dipartimenti degli Affari di giustizia (Dag) e dell’Organizzazione giudiziaria (Dog). Birritteri, com’era noto, ha chiesto di rientrare in ruolo il 10 aprile scorso; Campo l’ha imitato sei giorni dopo, il 16. Prima di loro, nell’arco di pochi mesi, avevano lasciato altre quattro figure centrali: il capo di gabinetto Alberto Rizzo, la direttrice dell’Ispettorato Maria Rosaria Covelli, il capo della digitalizzazione Vincenzo De Lisi e il numero uno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Giovanni Russo. Se i primi tre sono stati sostituiti, la nomina del nuovo capo del Dap manca ormai da quasi sei mesi: la Presidenza della Repubblica infatti ha bloccato la promozione della vice Lina Di Domenico, decisa in quattro e quattr’otto da Andrea Delmastro, sottosegretario di FdI con delega alle carceri, senza consultare il Colle. E ora che il Csm ha ufficializzato gli addii di Campo e Birritteri, restano senza guida anche altre due strutture fondamentali come il Dag, competente tra l’altro sulla cooperazione internazionale, e il Dog riferimento organizzativo di tutti gli uffici giudiziari italiani.
I nuovi capi in realtà sono già stati scelti: agli Affari di Giustizia andrà Antonia Giammaria, già pm a Roma e direttrice generale degli Affari giuridici e legali, all’Organizzazione Stefano De Michele, già presidente del Tribunale di Tivoli e attuale dg delle Risorse. Ma i tempi dell’avvicendamento non saranno brevi: Nordio vuole evitare a tutti i costi un nuovo incidente col Quirinale e quindi saranno compiuti tutti i necessari passaggi – formali e informali – prima di procedere alle nomine. Per quanto riguarda il caso Dap, invece, la soluzione non è ancora in vista: rispondendo a un’interrogazione parlamentare, il Guardasigilli ha fatto capire di voler insistere sul nome di Di Domenico, che nel frattempo governa di fatto il dipartimento come reggente. Il piano dunque è di trascinare lo stallo almeno fino a raggiungere gli otto mesi dalle dimissioni di Russo, cioè il periodo massimo – citato nella stessa risposta del ministro – in cui finora il Dap è stato senza un capo. Superata quella deadline, a intervenire per tentare di superare le resistenze del Colle (con una sorta di moral suasion alla rovescia) potrebbe essere la stessa premier Giorgia Meloni.
Secondo innumerevoli retroscena (mai smentiti), la ragione dietro la maggior parte degli addii è lo strapotere della capa di gabinetto Giusi Bartolozzi, magistrata fuori ruolo e già deputata di Forza Italia. Ascoltatissima da Nordio, è stata la vice di Rizzo per un anno e mezzo, scavalcandolo però in continuazione, tanto da spingerlo alle dimissioni. Promossa al posto del suo ex superiore, Bartolozzi ha accentrato su di sé il controllo di quasi tutte le articolazioni del dicastero, tanto da guadagnarsi i nomignoli di “ministra ombra” o “zarina“. Nel caso dell’ex capo Dap Russo, invece, a pesare è stato il rapporto teso con Delmastro, definitivamente compromesso dopo che il dirigente ha reso una testimonianza sfavorevole al sottosegretario (poi condannato in primo grado a otto mesi) nel processo a suo carico per rivelazione di segreto per il caso Cospito. Ancora diversa la vicenda di Birritteri, precipitata a causa dello scandalo Almasri: erano stati i suoi uffici, infatti, a preparare l’atto per chiedere di tenere in carcere il generale libico accusato di torture. Ma il ministro aveva rifiutato di firmarlo e trasmetterlo alla Corte d’Appello di Roma, permettendo così la liberazione. A incoraggiare l’ondata di dimissioni, in ogni caso, sono state sicuramente anche le norme approvate ad hoc dalla maggioranza per neutralizzare la legge anti-porte girevoli dell’ex ministra Marta Cartabia, permettendo ai magistrati fuori ruolo (quasi tutti i dirigenti) di tornare direttamente in toga e persino di aspirare a incarichi di vertice. L’ultimo blitz, realizzato a febbraio con un emendamento al decreto Milleproroghe, sospende la normativa addirittura fino ad agosto 2026: anche i futuuri capi dipartimento di Nordio, quindi, potranno scappare da via Arenula senza troppe remore.
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