La giusta misura della libertà

  • Postato il 18 febbraio 2025
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  • Di Quotidiano del Sud
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Il Quotidiano del Sud
La giusta misura della libertà

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A Washington il presidente del Paese più importante al mondo promette una Gaza beach per pacificare il Medioriente, a Roma il presidente dell’Associazione nazionale magistrati «invoca» l’omicidio dei due giudici per recuperare il consenso perduto dalle toghe nell’opinione pubblica. Le due esternazioni, diversissime per protagonisti, natura e contesti, tuttavia dicono una stessa cosa: l’iperbole è, in ogni dove, la malattia del dibattito pubblico. Il virus che la trasmette è un equivoco: l’idea fallace che il cambiamento avvenga con un eccesso della parola. Ma quando la parola va fuori giri, non incide sulla realtà, e tutto resta come prima.

Viviamo il tempo dell’iperbole. Per raccontarlo è richiesta una misura speciale. È questo l’impegno che prendo con i lettori, assumendo la direzione editoriale di un giornale che da oggi cambia nome e veste grafica, e inizia una nuova avventura nel panorama dei quotidiani nazionali: “l’Altravoce” farà della misura la sua cifra.

La misura è una virtù ambivalente. Da un lato persegue l’esattezza, che è un valore assoluto. Dall’altra incarna il compromesso, che è un risultato relativo. Così valorizza tutta l’intensità dei grigi di cui è fatta la vita di una comunità, e la stessa democrazia. Senza la misura, anche il coraggio della leadership smarrisce il compromesso con la realtà, e diventa al più esibizione o azzardo, o tutti e due.

In Italia c’è poca misura. La polarizzazione delle idee segna la politica e la società civile. Riduce la partecipazione al ricatto tra due opzioni contrapposte, ma in un certo senso simili. Perché figlie della stessa demagogia. Declina la complessità in complicazione. Incattivisce le relazioni tra cittadini e istituzioni. Il risultato è un Paese immobile, nel quale le riforme slittano e, se si fanno, risultano irrilevanti. Quando pure superano la trincea del conflitto politico e sociale, dietro la bandierina sventolata del cambiamento celano lo scambio tra la maggioranza e i gruppi di pressione, portatori di interessi in contrasto con quelli della collettività. Che siano i balneari o piuttosto i tassisti, i medici di base o gli agricoltori. La misura delle riforme in Italia cela spesso un bluff.

Ma anche la crisi dell’Europa è crisi della misura. L’ha aperta il pensiero liberale rivendicando diritti à gogo, come se questi crescessero senza limiti in natura e non avessero piuttosto un prezzo da pagare a qualcuno. Così, per fare un esempio, ci si è abituati a pretendere la libertà e la pace rinunciando a sostenerne i costi, le alleanze e gli investimenti militari necessarie a garantirle. Il dirittismo del pensiero progressista è una malattia della misura. Che fa prevalere i diritti a danno dei doveri, pone la democrazia in ostaggio delle minoranze organizzate, e finisce per aprire la strada alle destre.

Ma le destre dimostrano di non avere più equilibrio dei loro rivali. Anzi, l’idea che l’Europa non serva a niente è del tutto fuori misura, ancorché sempre più diffusa nell’elettorato. Allo stesso modo lo è l’idea che, dopo l’elezione di Trump, tutte le istituzioni della democrazia liberale, come l’Onu o le Corti internazionali, siano da rigettare come inutili costruzioni ideologiche. Cresce, tra le classi dirigenti per così dire moderate, la convinzione che il primato della forza possa sostituirsi a quello del diritto, e che per un Paese come l’Italia le controversie internazionali vadano risolte alleandosi con il più forte. Così la legge del più forte trascina il realismo politico nel nichilismo del racconto per iperbole. Tutto questo per dire che la crisi della democrazia in Occidente è soprattutto crisi del suo racconto. Con un effetto paradossale: le classi dirigenti sono ostaggio della propaganda, che adoperano per coltivare il consenso e che ritorna loro amplificata dagli elettori a cui è rivolta. Il giornalismo può spezzare questo corto circuito, se coltiva la misura insieme come esattezza e come compromesso, come verità e come dubbio, come sostanza e come metodo.

Ho accettato con gratitudine e soddisfazione l’invito dell’Editore a cimentarmi in questa sfida, perché viene da un uomo appassionato che rispetta l’indipendenza e il valore dei giornalisti, e non persegue con i giornali scalate finanziarie o alleanze interessate con il Palazzo. Vuole piuttosto continuare a rappresentare, come fa da circa trent’anni, un riferimento culturale e civile per la comunità. Si tratta di una condizione essenziale per costruire l’Altravoce del Paese, un quotidiano che oggi torna in edicola anche a Roma cambiando il suo nome, il suo abito e il suo progetto. Da Quotidiano del Sud si trasforma in Quotidiano nazionale, perché non esistono le ragioni per rivendicare un’identità meridionale alternativa a quella del Paese di cui il Mezzogiorno è parte. Ma esistono molte ragioni per fare della misura qui descritta la cifra di un’alterità.

Il nostro riferimento sarà quella parte di società che vuole restituire forma e spessore alla politica, ricostituire una pedagogia che rivaluti la funzione della delega, ricomporre la frattura tra poteri e saperi, rilanciare le competenze, coltivare doveri e ambizioni adeguati al rango di un grande Paese. In questa visione, la storia, che in questi giorni drammatici segna un’accelerazione inedita, non è un destino ma un processo da governare, dosando visione e realismo. Maturare la coscienza dei tempi che viviamo vuol dire anzitutto tornare a sentirsi europei e occidentali, senza iattanza ma anche senza sensi di colpa, e tenere per buona la pregiudiziale liberale che distingue nettamente tra aggredito e aggressore, su cui sui fondano la civiltà del diritto e la pace. Questa distinzione non mancherà su queste pagine.

Condivido la nuova avventura con un gruppo di valorosi colleghi, come Massimo Razzi, Stefano Regolini, Rocco Valenti, Roberto Marino, Antonio Troise, Beppe Smorto e Gianni Festa, tutti a vario titolo impegnati a coordinare una redazione generosa e competente. Con alcuni di loro è un ritrovarsi. Con altri uno scoprirsi dopo essersi più volte incrociati in quarantacinque anni di vita tra tante testate. Con tutti, al di là dei ruoli, sarà un gioco meraviglioso. Questo, si sa, è da sempre per noi un giornale.

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