La geopolitica sta diventando esoterica, popolata di stregoni e maghi
- Postato il 17 maggio 2025
- Di Il Foglio
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La geopolitica sta diventando esoterica, popolata di stregoni e maghi
Siamo in un mondo dominato dal caos, una “terra desolata”, come nel poema di T. S. Eliot. Un “mattino dei maghi” avvolto nelle “tenebre” declamate da Byron, popolato da “apprendisti stregoni”. La geopolitica sta diventando esoterica, dilaniata da distorsioni cognitive. Messa così, questa storia più che geopolitica pare psichedelica. In realtà è tutto meno astruso di quanto sembri. I riferimenti più evidenti sono a “Il mattino dei maghi” e “Gli apprendisti stregoni”. Il primo è un saggio del 1960, in cui i maghi possono essere alchimisti, taumaturghi, esploratori dell’occulto e delle civiltà aliene. “Gli apprendisti stregoni”, del 1957, racconta la storia di quel gruppo di scienziati che misero a disposizione il loro sapere per progettare l’arma di sterminio di massa per eccellenza: la bomba atomica. Il poema di Eliot, “The waste land”, dà il titolo all’ultimo saggio di Robert D. Kaplan: “Waste land: a world in permanent crisis”, dedicato a un mondo interconnesso e disconnesso in cui tutti comandano e nessuno governa. Il declino dell’occidente e la nascita del modernismo sono tra i temi del poema. Il libro di Kaplan, sullo stato infelice e precario del mondo, è altrettanto pessimista su molti fronti.
L’autore, noto per la sua visione anticonvenzionale della geopolitica, si focalizza sul declino sociale e politico globale in un fiorire di mini Trump e autocrazie, che gli fanno temere di vivere in tempi equivalenti alla Repubblica di Weimar nel suo precipitare verso il caos. Kaplan porta alle estreme conseguenze le tesi del precedente libro: “La mente tragica. Paura, destino, potere nella politica contemporanea” in cui “canone greco e shakespeariano”, il senso del tragico, è un metodo di analisi di un mondo nel quale non tutto può essere risolto. “Darkness”, poi, il poema scritto da Lord Byron nel 1816, ha per tema la fine del mondo. Quello fu “l’anno senza estate”, a causa delle anomalie climatiche provocate dall’eruzione del vulcano indonesiano Tambora, dal 5 al 15 aprile 1815. La temperatura del globo si abbassò per l’oscurità dovuta alla fuoriuscita di polveri e gas pesanti, con conseguenti terribili tempeste, inondazioni e carestie. E questo ci riporta ai terrori e alle tenebre attuali raccontate in “Everything must go. The stories we tell about the end of the world”. “Tutto deve fare il suo corso” recita il titolo, come fosse un atto di sottomissione alle Apocalissi annunciate negli ultimi duecento anni. A comporre questa escatologia non-cristiana è Dorian Lynskey, uno di quei saggisti che spaziano dal rock alla politica estera, e che probabilmente si è appassionato alle distopie scrivendo la biografia di George Orwell. L’annuncio della fine del mondo, lo sappiamo, è antico come il mondo. Ma oggi sembra di capire sia divenuto un’ossessione pari alla paura della morte.
Forse perché appare più credibile da quel fatidico 16 luglio 1945 quando fu fatta detonare la prima bomba atomica. “Adesso sono diventato Morte, il distruttore di mondi”, avrebbe detto allora Robert Oppenheimer, il maestro degli apprendisti stregoni, citando un verso del poema hindu Bhagavadgita.ā. La geopolitica contemporanea appare ancora una volta popolata da stregoni e maghi, che siano i profeti della Nuova Roma o di un re russo che dovrebbe restaurare l’età d’oro del buddhismo (secondo lo psicopatico dittatore birmano che vede in Putin la reincarnazione di un mitico re topo), gli esegeti degli hillbilly, cospirazionisti, millenaristi. Sembra di assistere a un remake dei deliri mistici ed esoterici del terzo Reich. In questa follia, allora, meglio “fingersi stolti ma non folli". Ossia, secondo l’interpretazione di uno dei “36 stratagemmi” descritti nel classico cinese di fine epoca Ming, meglio simulare l’ignoranza e attendere vigili, che volersi mostrare saggi senza esserlo e agire in modo sconsiderato. Oggi parleremmo di una “distorsione cognitiva” degli schemi di pensiero. E’ il tema di “A measure short of war”, un confronto senza combattere, saggio sulla disinformazione, la sovversione, l’arte di mentire negli ultimi trecento anni. Secondo Jill Kastner e William C. Wohlforth, studiosi di storia e strategia militare, la guerra viene combattuta con le stesse tecniche della truffa, influenzando la nostra percezione della realtà. Fu Vladimir Lenin a dire: “Dobbiamo essere pronti a ricorrere a trucchi, inganni, violazioni della legge, a negare e nascondere la verità”. E’ una norma che oggi seguono in molti. Senza sapere chi fosse Lenin.
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