La forza di Trump si misurerà sulla capacità di ridimensionare le richieste di Putin. Parla Rosato
- Postato il 20 agosto 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Dal vertice di Washington non è uscita l’immagine di un’Europa coesa, ma quella di un continente frammentato e in affanno. Sul tavolo, la guerra in Ucraina, le mosse di Vladimir Putin e le incognite legate alla capacità di persuasione di Donald Trump. Capacità che, come sostiene Ettore Rosato, vicepresidente di Azione e membro della III Commissione (Affari Esteri e Comunitari), “non si misurerà sul convincere Zelensky ad accettare una resa, ma sulla necessità di ridimensionare le aspettative di Putin: serve un accordo di pace, non una resa incondizionata di Kyiv”.
Rosato, che fotografia esce dal vertice?
Una fotografia impietosa. L’Europa si è mostrata debole e divisa, incapace di dare un segnale unitario. L’ottimismo delle prime ore si è dissolto molto in fretta, perché la realtà dei fatti è che gli Stati membri non hanno ancora compreso fino in fondo che la posta in gioco è il futuro stesso dell’Unione. O facciamo un salto rifondativo nelle istituzioni europee, o rischiamo di sopravvivere sperando che altri decidano per noi.
Il nodo resta Putin. Cosa vuole davvero?
Non la pace, ma la resa. Le condizioni che trapelano non hanno nulla a che vedere con un compromesso giusto: sono le condizioni di chi pretende la capitolazione di Kyiv. Zelensky non accetterà mai e non può certo essere l’Europa a spingerlo verso quella strada. Sarebbe una sconfitta politica e morale, prima ancora che militare.
E allora? L’Ucraina ha perso, come sostiene qualcuno?
No, questo racconto è del tutto falso. L’Ucraina continua a resistere e lo fa anche grazie al sostegno di Ue e Usa, che è concreto e decisivo. Se guardiamo alla Russia, vediamo un Paese che ha bisogno del supporto di Corea del Nord, Iran, mercenari e Cina per proseguire la guerra. È un segno evidente di debolezza strutturale. Non dimentichiamolo: non è l’Ucraina che si regge sugli aiuti di potenze lontane, ma la Russia.
Trump dice di voler cambiare le carte sul tavolo.
Se davvero vuole dimostrare forza politica e capacità di leadership, Trump non può limitarsi a chiedere la resa dell’Ucraina. La sua credibilità si misurerà nella capacità di ridimensionare Putin, di portarlo a compromessi veri. Una pace giusta richiede sacrifici da entrambe le parti, ma non può mai coincidere con la resa unilaterale di Kyiv.
L’atteggiamento di Trump sullo scenario internazionale come lo giudica, al di là della questione Ucraina?
Lo scontro con l’India è un errore clamoroso. Lo definisco incomprensibile perché non c’è alcuna logica strategica in questa scelta. L’India è un partner cruciale sotto il profilo commerciale, industriale e tecnologico. Rompere con New Delhi, mentre si accarezza l’idea di un dialogo ambiguo con Putin, rischia di isolare gli Stati Uniti come mai in passato. Molti Paesi stanno già guardando altrove per trovare alleati. Questo non rafforza la posizione americana, la indebolisce.
E l’Italia, in questo quadro?
Meloni ha agito con la consapevolezza che il destino dell’Italia non può essere separato da quello dell’Europa. Le parole di Trump su di lei hanno avuto un certo peso mediatico, ma non cambiano la sostanza: il futuro del nostro Paese e dell’Europa dipende dalla capacità di incidere sulle istituzioni europee. Se restiamo prigionieri delle logiche nazionali, non conteremo nulla nello scenario globale.
Il ministro Crosetto propone di estendere l’articolo 5 della Nato per tutelare l’Ucraina. È realistico?
È una proposta interessante, ma per ora futuribile. Prima bisogna arrivare a una pace giusta, che garantisca equilibrio e stabilità. Senza questo, ogni ipotesi di allargamento della protezione Nato resta sulla carta.
Torniamo a casa: le regionali. Che partita è per Azione?
La più difficile. Azione nasce per proporsi come forza alternativa a destra e sinistra su scala nazionale. Ma le elezioni regionali vivono di dinamiche molto diverse, radicate nei territori. Per questo faremo scelte differenziate regione per regione, affidandoci ai gruppi dirigenti locali. Qualcuno vede in questo una contraddizione, ma è lo stesso comportamento che hanno gli elettori: lo stesso giorno, per politiche ed europee, un 30% sceglie in modo diametralmente opposto. Noi non facciamo altro che interpretare questa realtà.