La Fondazione Gimbe: “Inesorabile smantellamento della sanità pubblica”. Ecco i dati della Liguria
- Postato il 9 ottobre 2025
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- Di Genova24
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Genova. “Siamo testimoni di un lento ma inesorabile smantellamento del servizio sanitario nazionale, che spiana inevitabilmente la strada a interessi privati di ogni forma. Continuare a distogliere lo sguardo significa condannare milioni di persone a rinunciare non solo alle cure, ma a un diritto fondamentale: quello alla salute”. Così Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha presentato ieri a Roma l’ottavo rapporto sul servizio sanitario nazionale.
La Liguria si inserisce in questo quadro con due record italiani, quello per finanziamenti pro-capite, in qualità di regione anziana, e quello di infermieri in rapporto alla popolazione, in controtendenza rispetto alla drammatica carenza nazionale. In linea col trend generale è sempre più alta la percentuale di coloro che rinunciano a curarsi e rimangono sensibili i ritardi sugli interventi previsti dal Pnrr.
Meno finanziamenti alla sanità, ma la Liguria ne ha più degli altri
A livello generale si assiste a un “definanziamento perenne” della sanità pubblica. Il fondo sanitario nazionale è cresciuto di 11,1 miliardi dal 2024 al 2025, passando a 136,5 miliardi quest’anno, ma guardando alla percentuale di Pil (6,1%) si sono persi 13,1 miliardi per strada. Coi nuovi criteri di riparto del fondo indistinto, la Liguria riceve 2.261 euro pro-capite, la quota più alta tra tutte le regioni, con una crescita di quasi 80 euro sul 2024.

“I meccanismi di riparto – commenta Cartabellotta – restano profondamente iniqui. La quota non pesata del 60% limita la capacità di rispondere ai nuovi bisogni di salute, soprattutto quelli emergenti tra i giovani e le fasce socialmente svantaggiate. Inoltre, le nuove variabili su mortalità precoce e condizioni socio-economiche pesano troppo poco: solo l’1,5% sul riparto complessivo Infine, in assenza di criteri oggettivi e trasparenti, la quota premiale si è trasformata in un meccanismo di compensazione politica”.
In Liguria più del 10% rinuncia a curarsi
Sempre più persone rinunciano a curarsi, e la Liguria non fa eccezione: un residente su dieci (precisamente il 10,1%) si è trovato a tagliare almeno una prestazione sanitaria nel 2024. Si tratta di un numero in crescita, visto che nel 2023 erano il 7,6%. Il dato è lievemente superiore alla media nazionale (9,9%) e si colloca tra il 17,2% della Sardegna e il 5,3% della provincia autonoma di Bolzano. E visto che le percentuali non rendono l’idea fino in fondo, in termini assoluti si tratta di 152.423 cittadini, 34.710 in più in un anno.

“La spesa delle famiglie – spiega Cartabellotta – viene arginata da fenomeni che riducono l’equità dell’accesso e peggiorano le condizioni di salute: limitazione delle spese per la salute, indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, rinuncia alle prestazioni sanitarie”.
Liguria “rimandata” per la garanzia dei Lea
Per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza, dal monitoraggio con il nuovo sistema di garanzia la Liguria si piazza nella zona gialla della classifica, risultando inadempiente nell’area della prevenzione (54 punti, sotto la sufficienza) e ampiamente promossa nell’area distrettuale (85 punti) e ospedaliera (80 punti). La valutazione sotto la soglia, secondo quanto comunicato dalla Regione, dipende da un problema tecnico nella comunicazione dei dati sulle vaccinazioni e sarebbe quindi falsato. Le tabelle, come sottolinea la Fondazione Gimbe, restituiscono il pesante divario tra Nord e Sud del Paese.

Il peso delle strutture private
“Nessun Governo – spiega il presidente Cartabellotta – ha mai dichiarato di voler privatizzare il servizio sanitario nazionale. Ma il continuo indebolimento della sanità pubblica favorisce la continua espansione dei soggetti privati, ben oltre la sanità privata convenzionata“. Oggi i soggetti privati in sanità si muovono su quattro fronti: erogatori (convenzionati o privato puro), investitori (fondi di investimento, banche, gruppi industriali), terzi paganti (assicurazioni, fondi sanitari), oltre a tutti i contraenti di partenariati pubblico-privato. “Un ecosistema complesso e intricato – aggiunge il presidente – dove è difficile mantenere l’equilibrio tra l’obiettivo pubblico della tutela della salute e quello imprenditoriale della generazione di profitti“.
I dati dicono che, rispetto ad altre regioni, la Liguria fa poco affidamento sui privati. Nel 2023 la Regione ha speso solo il 12,1% del conto economico per acquistare prestazioni dai privati. La media nazionale è del 20,3% e in cima alla classifica c’è il Lazio col 29,3%. Negli ultimi dieci anni la percentuale è addirittura scesa (nel 2014 era il 12,4%). In Liguria l’erogazione in mobilità di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private vale l’11,9%, una cifra molto bassa relativamente alla media nazionale (54,4%) e alle percentuali di altre regioni: oltre al Molise (90,6%), superano il 60% del valore della mobilità erogato da strutture private la Lombardia (71,4%), la Puglia (70,7%) e il Lazio (62,4%).
In Liguria record di infermieri in rapporto alla popolazione
In Italia ci sono solo 6,5 infermieri ogni mille abitanti, ben sotto la media Ocse di 9,5. Quelli dipendenti sono 4,7 ogni mille abitanti. La Liguria è in testa alla classifica nazionale con un indice di 6,86 (più della Lombardia che ne ha 3,8) mentre a chiudere la graduatoria è la Sicilia con 3,53.

E i medici? Secondo i dati Ocse in Italia ce ne sono 315.720, cioè 5,4 ogni mille abitanti, l’indice più alto dopo l’Austria. “Questi numeri – osserva Cartabellotta – dimostrano che in Italia non c’è affatto carenza di medici, ma attestano una loro fuga continua dal servizio sanitario nazionale e carenze selettive in specialità ritenute poco attrattive e nella medicina generale”.
Uno dei problemi più gravi è la carenza di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. Si stima che in Liguria manchino all’appello 112 medici di famiglia. Dal 2019 al 2023 si è perso il 13,2% di questi professionisti e nel 2024 sono rimaste scoperte 28 borse di specializzazione, pari al 42% del totale. Nella nostra regione il 50,7% dei medici di famiglia supera il massimale di 1.500 assistiti, un dato sostanzialmente in linea con la media nazionale (51,7%), anche se il numero di assistiti in media è 1.338 contro una media italiana di 1.374. Per quanto riguarda i pediatri, ognuno di loro in Liguria ha in media 893 assistiti (media nazionale 900). La carenza è poco significativa (ne mancano 8) rispetto ad altre regioni (in Lombardia 180).
Sanità territoriale, case di comunità e ospedali in ritardo
La riforma della sanità territoriale con le risorse del Pnrr è in ritardo ovunque. In Liguria sono programmate 33 case di comunità, 16 di queste hanno almeno un servizio dichiarato attivo, 6 hanno tutti i servizi dichiarati attivi e di queste solo 2 sono dotate di presenza medica e infermieristica. Degli 11 ospedali di comunità in programma solamente 2 sono dichiarati attivi. Le 17 centrali operative territoriali, invece, sono tutte in funzione.
“Nonostante la rimodulazione al ribasso concessa dall’Europa – osserva Cartabellotta – i ritardi sono molto preoccupanti, in particolare in alcune Regioni. Anche perché, oltre al completamento delle strutture, rimane il nodo del personale: carenza di infermieri e incertezze sulla reale disponibilità dei medici di famiglia a lavorare in queste strutture”. Relativamente all’adozione del fascicolo sanitario elettronico, in Liguria è disponibile l’81% dei documenti monitorati (Italia 76%), ma solo il 12% dei cittadini ha dato il consenso alla consultazione dei propri dati da parte dei medici (media nazionale 42%).
La Fondazione Gimbe propone un “piano di rilancio”
“Il futuro del servizio sanitario nazionale – conclude Cartabellotta – si gioca su una scelta politica netta: considerare la salute un investimento strategico del Paese o continuare a trattarla come un costo da comprimere. Il piano di rilancio della Fondazione Gimbe punta in una direzione chiara: rafforzare e innovare quel modello di servizio sanitario nazionale istituito nel 1978, finanziato dalla fiscalità generale e basato su princìpi di universalità, uguaglianza ed equità, al piano di garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone. Ma perché questo Piano sia attuabile, la Fondazione Gimbe invoca un nuovo patto. Un patto politico che superi ideologie partitiche e avvicendamenti di Governo, riconoscendo nel servizio sanitario nazionale un pilastro della democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore di sviluppo economico; un patto sociale che renda i cittadini consapevoli del valore della sanità pubblica e li educhi a un uso responsabile dei servizi; un patto professionale in cui tutti gli attori della sanità devono rinunciare ai privilegi di categoria per salvaguardare il bene comune”.