La fine del soft power americano rafforza la Cina. Parola di Joseph Nye
- Postato il 9 marzo 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Il nazionalismo di Donald Trump potrebbe rivelarsi una strategia perdente, anche contro la Cina. A dirlo è Joseph Nye, politologo americano noto per aver coniato il concetto di “soft power”. La scelta del presidente Usa di esercitare una politica muscolare sia nei confronti degli alleati storici che all’interno degli stessi Stati Uniti è una delle ragioni che potrebbero portare il Paese, in futuro, a perdere il ruolo di leadership in quella parte di potere più sottile e meno immediato costruito con lentezza e senza troppo rumore. E ad approfittarne potrebbe essere proprio la Cina.
“Le relazioni internazionali sono politica di potere – si legge nel saggio pubblicato sul Financial Times dal titolo “Trump e la fine del soft power americano” -. Come scrisse Tucidide più di due millenni fa, i forti fanno ciò che vogliono e i deboli subiscono ciò che devono. Il potere, tuttavia, non si basa solo su bombe, proiettili e coercizione economica. Il potere è la capacità di influenzare gli altri per ottenere i risultati desiderati, e ciò può avvenire sia attraverso l’attrazione che attraverso la forza e il pagamento. Poiché questa attrazione – il soft power – raramente è sufficiente da sola, i leader possono trovare più allettante il potere duro. Ma a lungo termine, il soft power spesso prevale”.
Cultura, valori e politiche coerenti con le azioni di una nazione legittimano anche esternamente l’influenza che i Paesi hanno in ambito internazionale, ed è questo tipo di influenza che, secondo Nye, rischia di soccombere con il nazionalismo esclusivo di “American First”, “un ottimo slogan per le elezioni americane, ma che attira pochi voti all’estero”.
Il passato di immobiliarista newyorkese di Trump gli ha dato una visione tronca del potere, argomenta Nye, per questo “il presidente Donald Trump non capisce il soft power”. Così si spiegherebbe la prepotenza nei confronti della Danimarca per la Groenlandia, le minacce a Panama, o la posizione sull’Ucraina che lo ha portato a schierarsi con Vladimir Putin “che indebolisce sette decenni di alleanza Nato – per non parlare del suo smantellamento dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) creata da John F. Kennedy? Tutti elementi che indeboliscono il soft power americano”.
E sebbene non esista un governo mondiale, “esistono molti contratti sociali che garantiscono un certo ordine mondiale”. I valori sanciti alla fine della seconda guerra mondiale in quello che venne chiamato poi “l’ordine internazionale liberale” sostenuto dalle Nazioni Unite aveva gli Stati Uniti come loro baluardo, ma per Trump queste istituzioni non hanno più valore, e si assiste infatti al loro indebolimento se non il ritiro totale degli Stati Uniti da alcune di esse.
I sondaggi, scrive il professore di Harvard, mostrano che i Paesi più ammirati sono tendenzialmente le democrazie liberali, e gli Stati Uniti si sono classificati, in linea di massima, sempre ai primi posti, a differenza di autocrazie come Russia e Cina, tenendo chiaramente conto che la percezione può variare da Paese a Paese. “È interessante notare che nella competizione tra Stati Uniti e Cina, secondo i recenti sondaggi Pew, la Cina è in ritardo rispetto agli Stati Uniti nella maggior parte dei continenti, ma in Africa i due Paesi sono quasi alla pari”, sottolinea Nye.
Ed è proprio la Cina ad essere particolarmente interessante nell’ambito del soft power. Pechino, infatti, “ha sviluppato in modo considerevole le sue risorse di hard power, i leader si sono resi conto che sarebbe stato più accettabile se fosse stato accompagnato dal soft power. Si tratta di una strategia di potere intelligente, perché la crescita del potere militare ed economico della Cina potrebbe spaventare i suoi vicini e indurli a formare coalizioni di equilibrio”. Già il presidente Hu Jintao disse al 17° Congresso del Partito Comunista Cinese, nel 2007, che era necessario investire di più nel soft power, cosa che è continuata sotto il presidente Xi Jinping.
Sebbene la Cina sia ancora in ritardo in questo terreno rispetto agli Stati Uniti, le cose potrebbero cambiare quando subentrerà negli spazi vuoti lasciati dagli Stati Uniti.
Manifestazioni pacifiste o per i diritti civili sono importanti risorse di soft power, come i film di Hollywood, la stampa libera, le università e le fondazioni, attraggono gli altri nonostante la politica, perché si muovono in un circuito di coerenza con i valori di cui si fanno carico. Al contrario, la folla ispirata da Trump in Campidoglio nel gennaio 2021 ha esacerbato la polarizzazione politica. Trump ha indebolito le norme democratiche e le istituzioni, alimentando timori di un declino democratico. Tuttavia, ci sono ragioni per sperare nella democrazia americana, conclude Nye, anche se il soft power americano avrà vita difficile nei prossimi quattro anni.