La “fibra killer” peggiore dell’amianto, anche Unige nella ricerca sull’erionite
- Postato il 17 marzo 2025
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- Di Genova24
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Genova. L’erionite è una specie appartenente al gruppo delle zeoliti, minerali presenti principalmente in rocce vulcaniche e di ampio impiego in vari settori, dall’edilizia all’agricoltura. Sebbene le zeoliti, in generale, non siano dannose per l’uomo, l’erionite, al contrario, possiede un alto grado di tossicità per inalazione, centinaia di volte superiore a quella dell’amianto. A partire dalla metà degli anni Settanta, infatti, l’erionite è stata la causa di un’epidemia di mesotelioma pleurico maligno (MPM) in alcuni villaggi della Cappadocia, dove le abitazioni erano costruite con materiali contenenti questo minerale.
Uno studio congiunto tra Sapienza Università di Roma, Università di Genova ed ENEA, condotto nell’ambito del Partenariato Esteso RETURN e finanziato dall’UE – NextGenerationEU, recentemente pubblicato sulla rivista internazionale “Journal of Hazardous Materials”, ha indagato i meccanismi alla base della tossicità dell’erionite finora ancora poco chiari.
La ricerca, utilizzando un innovativo approccio interdisciplinare, ha analizzato i cambiamenti strutturali e chimici che avvengono nelle fibre del minerale una volta che queste sono fagocitate dalle cellule macrofagiche presenti nei polmoni e responsabili dell’internalizzazione e distruzione di sostanze estranee.
Lo studio ha rilevato che quando le fibre di erionite vengono fagocitate dalle cellule macrofagiche, gli “spazzini” del sistema immunitario, innescano uno scambio ionico che determina l’innalzamento del pH e il malfunzionamento dei lisosomi, gli organelli cellulari responsabili della degradazione di corpi estranei.
«Il complesso processo di scambio ionico – precisa Paolo Ballirano, docente presso Sapienza – è stato rivelato attraverso esperimenti di diffrazione dei raggi X su polveri condotti presso i laboratori del Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza Università di Roma su quantità di fibre dell’ordine di frazioni di milligrammo, recuperate dall’interno delle cellule dopo diverse tempistiche di incubazione da un minimo di 24 ore a un massimo di 14 giorni».
«L’innalzamento del pH cellulare – spiega Sonia Scarfì, docente presso l’Università di Genova – provoca inoltre un’elevata richiesta energetica, la quale viene soddisfatta da un’iperattivazione dei mitocondri, centrale energetica della cellula. Il risultato di questa iperattivazione dopo qualche giorno dalla fagocitosi è un aumento di produzione dei radicali dell’ossigeno nei mitocondri e, successivamente, una sofferenza mitocondriale che può portare alla morte cellulare».
«Data la notevole stabilità chimica dell’erionite nei fluidi biologici, questo meccanismo che porta alla morte delle cellule può ripetersi potenzialmente all’infinito: infatti l’erionite, una volta liberata nuovamente in ambiente extracellulare, è in grado di riacquistare il suo potenziale tossico. Ne consegue – concludono Ballirano e Scarfì – che questo fenomeno porta a infiammazione cronica e al potenziale sviluppo di cancro»