La favola nera di Gaza: una volta c’era, domani non più

  • Postato il 17 settembre 2025
  • Editoriale
  • Di Paese Italia Press
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Prefazione dell’autore: Gaza, maggio 2024
Ho camminato tra le macerie di Gaza con la sensazione di entrare in un libro che non avrei mai voluto leggere. Ogni passo sollevava polvere e silenzio, interrotto solo dal pianto dei sopravvissuti. Non era un campo di battaglia, ma una città che respirava l’odore della morte: vestiti bruciati, bambole sventrate, fotografie strappate. Ho visto bambini senza futuro e anziani senza memoria. E ho pensato che, un giorno, quando tutto sarà finito, qualcuno comincerà a raccontare: “C’era una volta Gaza”.
C’era una volta Gaza. È terribile anche solo scriverlo al passato, come se fosse già un capitolo chiuso, un luogo sepolto sotto le macerie della Storia. Ma la verità è che quel capitolo lo stanno scrivendo ora, riga dopo riga, con il sangue di donne, bambini e anziani. Una favola nera, senza lieto fine, in cui i protagonisti non hanno volto: sono numeri, sono corpi, sono voci soffocate dalla polvere e dal boato delle esplosioni.
Ogni giorno, centinaia di morti. Non soldati, non combattenti armati fino ai denti: civili. Bambini che fino a ieri giocavano tra i vicoli, donne che cucinavano, anziani che stringevano fotografie ormai bruciate insieme alle loro case. Tutti cancellati come errori di stampa da un esercito che da anni ha smesso persino di fingere: non combatte il terrorismo, lo pratica.
Israele è diventato da tempo uno Stato canaglia. Peggio di quelli che finanziano i jihadisti in Medio Oriente. Perché almeno i terroristi hanno la decenza di non nascondersi dietro le istituzioni: piazzano bombe, lanciano droni, si prendono la colpa. Israele no: Israele bombarda scuole e ospedali, sfonda case con i carri armati, ammazza famiglie intere e poi va in televisione a parlare di “danni collaterali”.
Nel silenzio complice dell’Occidente, che finge indignazione con la stessa sincerità con cui un attore recita una pubblicità. Nel silenzio ancora più colpevole dei Paesi arabi, troppo impegnati a contare i petrodollari degli alleati sionisti per occuparsi dei fratelli palestinesi. E della Turchia, superpotenza militare che ama minacciare ma non muove un dito, dimostrando che la vigliaccheria è un’arma di distruzione di massa molto più potente delle bombe.
Intanto, a Gaza, il tempo si è fermato. Le città sono cumuli di macerie. Gli ospedali, quando non sono stati colpiti, diventano cimiteri improvvisati. I campi profughi si riempiono di storie che non leggeremo mai, perché i protagonisti non hanno più voce. Ogni bambino morto è un futuro cancellato, ogni anziano ammazzato è una memoria perduta. Un popolo intero sta scomparendo, metro dopo metro, casa dopo casa.
Eppure la parola “genocidio” è trattata come un tabù. Un copyright esclusivo, concesso solo a chi pretende di avere il monopolio della memoria. Come se la tragedia del Novecento fosse un marchio registrato, e chi osa accostare Gaza all’Olocausto commettesse sacrilegio. Ma guardiamo le immagini: fosse comuni, corpi mutilati, famiglie cancellate. Come chiamarlo, se non genocidio?
E mentre Gaza brucia, e i bambini muoiono, Smotrich — ministro delle Finanze israeliano — si lascia scappare la verità che tutti sospettavano: “La Striscia è un Eldorado immobiliare da spartire con gli Usa”.
L’Unione europea, costretta a reagire dopo mesi di vergognoso silenzio, annuncia le prime sanzioni: colpito il 37% del commercio con lo Stato ebraico, pari a 227 milioni di euro l’anno. Sospeso il sostegno bilaterale, escluse però le armi, quelle no: quelle continuano a fluire, perché l’ipocrisia è l’unica vera valuta occidentale.
Intanto oltre un milione di palestinesi non hanno alcuna possibilità di lasciare Gaza City: prigionieri in una gabbia di cemento e fuoco.
E l’Onu, con parole finalmente nette, dichiara: “Abbiamo le prove del genocidio”. Il punto, però, è che non servivano le prove: bastava guardare.
Un giorno, quando tutto questo sarà finito, forse qualcuno scriverà: “C’era una volta Gaza”. E i ragazzi del futuro leggeranno quella frase come leggiamo noi l’inizio delle fiabe. Ma sarà una favola nera, la più nera mai scritta: senza principi azzurri, senza fate, senza lieto fine, con orchi e streghe nella forma di nazisti in divisa e bestie a due gambe e due braccia. Solo la follia umana e il razzismo di chi ha deciso che un popolo intero non ha diritto di esistere.
E la domanda che rimarrà, più tagliente di qualsiasi proiettile, sarà sempre la stessa: come abbiamo potuto permettere che accadesse di nuovo?

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