La famiglia del reporter Andy Rocchelli ucciso dagli ucraini: “Basta disimpegno politico. L’Aja ci ascolta, il governo no”

  • Postato il 23 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La famiglia del fotoreporter Andrea Rocchelli, ucciso il 24 maggio 2014 nella località di Sloviansk, nel Donbass, all’età di 30 anni da un attacco di artiglieria pesante e leggera proveniente dall’esercito ucraino, ha rivolto un nuovo appello al governo italiano affinché “questo disimpegno politico che da 11 anni contraddistingue la nostra richiesta di giustizia possa terminare”. La lettera, a firma dei genitori di Andrea, Elisa Signori e Rino Rocchelli, e della sorella Lucia Rocchelli, è stata inviata lo scorso 8 luglio al ministero degli Affari Esteri – con una nota formale a corredo – in vista della Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina tenutasi a Roma un paio di giorni dopo, sperando che l’appuntamento potesse essere l’occasione per “far valere un improrogabile istanza di giustizia”. Ma dal governo continua ad arrivare solo silenzio.

I familiari hanno quindi chiesto alle autorità italiane il “rilancio di questa vicenda, trascurata da sempre in sede politica”. Proprio mentre si parla di Kiev “non va dimenticata una vicenda che tocca le responsabilità delle forze armate ucraine e che ha visto dalle autorità ucraine risposte solo propagandistiche e autoassolutorie”. Ma neppure la cornice romana è bastata perché le autorità italiane affrontassero lo scomodo dossier con i rappresentanti di Kiev. E il silenzio di Palazzo Chigi conferma il “cono d’ombra” in cui è entrato il caso Rocchelli dopo l’inizio della guerra russo-ucraina, laddove “l’emergenza bellica ha polarizzato le posizioni ed esigere giustizia per quel duplice omicidio pare inopportuno”.

L’istanza accolta dall’Aja
I familiari di Rocchelli hanno anche ricordato il dossier inoltrato alla Corte internazionale di giustizia (Cig) dell’Aja, “che l’ha recepito come pertinente ai suoi obiettivi di indagine”. L’istanza presso Cig è stata avanzata nel 2023 ed è stata ritenuta “ammissibile da un punto di vista formale” a seguito di della “conclusione, deludente, del percorso giudiziario intentato per concorso in omicidio contro un miliziano della Guardia Nazionale ucraina e contro lo Stato ucraino” come responsabile civile. Nella deliberata aggressione militare hanno perso la vita Rocchelli e Andrey Mironov, mentre è sopravvissuto William Roguelon che comunque è rimasto gravemente ferito. Tutti lì per fare il loro lavoro: documentare il conflitto che allora cominciava a prendere forma nella regione del Donbass. “Una pioggia di venti, trenta colpi esplosi a ritmo serrato, con la chiara volontà di sopprimerci”, aveva testimoniato quest’ultimo. L’unico imputato, Vitaly Markiv, 29enne ucraino, cresciuto in Italia e arruolato nella Guardia nazionale di Kiev, era stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere ma è stato assolto dalla Corte d’Appello di Milano e poi dalla Cassazione dichiarando inammissibili i ricorsi presentati. Tuttavia, i familiari ricordano che “le motivazioni della sentenza, confermate in Cassazione, attribuirono esplicitamente la responsabilità dell’attacco alle forze armate ucraine e sanzionarono il duplice omicidio come crimine di guerra“, ribadendo la non collaborazione delle autorità ucraine. A tale riguardo la Federazione nazionale della Stampa italiana e l’Associazione Lombarda dei giornalisti, che si erano costituite parte civile al processo, hanno chiesto “al governo, al ministero degli Esteri e alle istituzioni competenti di reclamare effettiva collaborazione da parte delle autorità ucraine per arrivare a individuare gli esecutori dell’assassinio”.

L’indifferenza dell’Italia
Ma tale collaborazione non è stata mai richiesta al governo ucraino, né dal governo Draghi né da quello attuale presieduto da Giorgia Meloni. “I nostri contatti con le istituzioni politiche italiane sono molto difficili, anzi si direbbe quasi impossibili”, scrivono i familiari, ricordando l’audizione svoltasi l’anno scorso presso il Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, presieduto dall’onorevole Laura Boldrini, “che presentò poi al riguardo una interrogazione a risposta in commissione (5-02581) al ministro degli Esteri, chiedendo anche al ministro di incontrarci”. “Purtroppo finora l’esito è stato nullo”, lamentano i genitori e la sorella nella lettera. Fa riflettere anche il testo firmato da Elisa Signori sul portale di Articolo 21 a commento dell’approvazione della proposta di legge che istituisce la Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa del loro lavoro: “conviene che la politica lavori a fondo su quelle singole storie, punti al riconoscimento e alla sanzione delle responsabilità, creando una concreta deterrenza per chi perseguita o attenta alla vita di un giornalista”.

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Il Fatto Quotidiano

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