La faida di “Gringia” e l’imbasciata di Luigi Mancuso ai Bonavota: “Mantenere la pace”
- Postato il 8 febbraio 2025
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La faida di “Gringia” e l’imbasciata di Luigi Mancuso ai Bonavota: “Mantenere la pace”
Il pentito Francesco Fortuna racconta l’aneddoto avvenuto dopo che dalle carte dell’Inchiesta sulla faida tra i piscopisani e i Patania, Pantaleone Mancuso aveva espresso la volontà di far fuori i Bonavota e a quel punto lo zio Luigi Mancuso, capo del Crimine vibonese, mandò una imbasciata al clan di Sant’Onofrio esortandolo a mantenere la pace tra le due famiglie, accusando il nipote: “Se fosse vero allora ha sbagliato”
VIBO VALENTIA – Quando uscirono le intercettazioni dell’operazione “Gringia” sulla faida tra piscopisani e Patania, concernente la faida tra i Patania e i Piscopisani, in cui Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni” affermava di voler uccidere anche i Bonavota, i vertici della famiglia di Sant’Onofrio rimasero di sasso anche perché fino ad allora, per come riferisce il pentito Francesco Fortuna, ex killer del sodalizio criminale, i rapporti con il clan di Limbadi erano stati buoni. Toccò a Luigi Mancuso, capo del Crimine vibonese cercare di sanare la frattura non esitando ad incolpare il nipote Pantaleone.
LUIGI MANCUSO MIRA A MANTENERE LA PACE COI BONAVOTA: “MIO NIPOTE LUNI HA SBAGLIATO”.
Ad approfondire la circostanza è lo stesso collaboratore di giustizia in uno degli ultimi verbali rilasciati alla Dda di Catanzaro nel quale ricorda che “i rapporti con i Mancuso noi li avevamo soprattutto con Pantaleone alias “Scarpuni”, quanto meno fino all’arresto di quest’ultimo. Se in precedenza tra le nostre consorterie non c’erano problemi dopo le risultanze del procedimento “Gringia” sulla faida, ed in particolare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia secondo cui Luni Mancuso avrebbe volto la morte dei Bonavota” le cose si incrinarono.
E qui sarebbe entrato in gioco Luigi Mancuso che “aveva mandato una imbasciata a Domenico Bonavota, per come quest’ultimo mi raccontò, dicendogli di non credere a quanto emerso dall’indagine secondo cui suo nipote “Scarpuni” avrebbe pianificato l’eliminazione della nostra cosca, in quanto sicuramente si trattava di menzogne e quindi non c’era alcun motivo di scontro tra i nostri gruppi; aggiungeva che, in ogni caso, se così non fosse stato, suo nipote aveva sbagliato e che i rapporti tra loro e noi dovevano restare buoni”.
FAIDA TRA PATANIA E PISCOPISANI E I TENTATIVI DI PACE DEI BONAVOTA
Ma la faida è deflagrata con morti e feriti. Siamo tra il 2011 e il 2012. I Bonavota mirano a cercare la pace tra le due fazioni anche per evitare la militarizzazione, come del resto avvenne, del territorio confinante con quello dei Patania che non avrebbe fatto bene agli affari. E qui sarebbe entrato in gioco Basilio Caparrotta, soggetto “che aveva doti di ’ndrangheta prima che entrasse nel nostro gruppo” commenta il pentito Fortuna, “interessandosi, dopo l’omicidio di Fortunato Patania, per mettere pace tra le due cosche, per come voleva anche Domenico Bonavota”.
A seguito di quest’ultimo omicidio, Domenico Cugliari (Micu i ‘Mela) e Bonavota avrebbero incaricato proprio Caparrotta di interfacciarsi con le due famiglie per cercare di giungere ad una tregua, dal momento che questi aveva buoni rapporti con entrambe le fazioni. E dalle risposte ricevute sarebbe emerso che entrambi i gruppi sarebbero stati propensi alla pace solo che “i fratelli Patania si ponevano i problema se Pantaleone Mancuso “Scarpuni” – considerato la mente occulta di quel sanguinoso scontro – fosse a conoscenza di questo proposito”. Considerazioni sulle quali sia Caparrotta che i Bonavota cercarono di rassicurar i Patania “affermando che nessuno potesse avere interesse ad ostacolare la pace, men che meno “Scarpuni”, ma non sarebbe stato poi così. In seguito, infatti i fratelli Patania, sempre per il tramite di Caparrotta “dissero ai Bonavota che si erano interfacciati loro stessi con Mancuso e che non erano più disposti a far pace”.
IL DOPPIO GIOCO DI LUNI MANCUSO IN SENO ALLA FAIDA
Il clan di Sant’Onofrio tentò un’ultima carta per fermare la faida recandosi dallo stesso “Scarpuni” il quale avrebbe fatto il doppio gioco riferendo agli emissari della cosca di Sant’Onofrio che “per lui poteva anche mettersi pace, ma che, se fosse stato al posto dei Patania, non avrebbe accettato di non vendicare la morte del padre Fortunato”; dopo quelle parole, i Bonavota compresero che la strada per giungere alla pace non era praticabile, in quanto Mancuso, “sebbene avesse negato il proprio dissenso alla tregua, stava istigando i Patania a perseguire i propri intenti endicativi. Nella sostanza “Scarpuni” non voleva passare per “tragediatore, e per questo aveva finto di non avere interesse allo scontro tra quei due gruppi, ma in realtà stava spronando i fratelli di Stefanaconi ad andare avanti”.
IL PROGETTO OMICIDIARIO AI DANNI DEI FRATELLI PATANIA
Ma Caparrotta non avrebbe funto solo il ruolo di pacificatore, ma anche quello i killer in quanto, sempre secondo il racconto del pentito Fortuna, dopo il tentato omicidio di Francesco Scrugli e prima del suo omicidio, si recò con i Piscopisani Raffaele Moscato e Rosario Fiorillo da Domenico Bonavota, per tendere un agguato ai danni dei fratelli Patania”. Si sarebbe pertanto tenuta una riunione, la mattina seguente, presso una abitazione di proprietà di una “parente di Domenico, in presenza mia, di Domenico stesso, di Caparrotta, di Domenico Cugliari, Fiorillo e Moscato per organizzare l’agguato, ma Domenico disse che non era il caso di procedere, in quanto vi era la presenza di numerose forze dell’ordine sul territorio”.
Ad interrompere definitivamente ogni progetto ed anche il summit la presenza proprio durante quei momento di “un elicottero dei carabinieri e questo – aggiunge il collaboratore – fece direttamente chiudere qualsiasi tipo di discorso. In realtà Bonavota era rimasto contrariato all’iniziativa intrapresa da Caparrotta, che lo aveva messo di fronte al fatto compiuto senza dargli la possibilità di capire quale fossa la strategia giusta da seguire, per ciò, già dalla sera prima, aveva deciso di trovare un pretesto per non dare seguito al progetto omicidiario. In ogni caso, coloro che avrebbero dovuto materialmente commettere l’agguato ai danni di uno dei fratelli erano appunto Fiorillo e Moscato con Caparrotta stesso”.
FORTUNA E LA VOLONTà DI COLLABORARE NEL 2016 MA…
Francesco Fortuna avrebbe maturato la volontà di collaborare con la giustizia già nel 2016 in occasione del suo ultimo arresto ma fu frenata da una circostanza per lui non certo secondaria. Lo dichiara ai magistrati della Dda di Catanzaro in uno dei verbali dell’autunno 2024: “Non avevo mai più avuto dei dubbi al riguardo, in quanto avevo compreso di tutto il male che avevo fatto. Purtroppo già nel 2016 era troppo tardi per tornare indietro e non posso tornare indietro neanche ora, ma sono seriamente pentito di quello che ho fatto e sono determinato a cambiare vita”
Il collaboratore spiega che oil motivo per il quale non ha espresso prima questa sua volontà era “solo per via di mia moglie, in quanto ha un figlio che all’epoca del mio arresto era molto piccolo e questa mia scelta l’avrebbe messa in grossa difficoltà, costringendola sostanzialmente a scegliere tra me e lui e comunque a vivere in condizioni di grosso rischio. Ora suo figlio e cresciuto, ha raggiunto la maggiore età e pertanto questo ostacolo alla mia collaborazione con la giustizia è venuto meno”.
FORTUNA ABBANDONATO DAL SUO STESSO GRUPPO
Ma nel 2016 Francesco Fortuna ha dovuto fronteggiare un altro problema, quello del pagamento delle spese legali. Precedentemente poteva contare sull’apporto del proprio gruppo, poi venuto meno: I Bonavota mi hanno dato somme didenaro solo durante il primo anno di detenzione successivo al 2016, poi via via hanno smesso;gli avvocati, dopo il 2016, li ha pagati mio fratello e dal 2019 li io, con le somme provenienti dall’ingiusta detenzione patita in conseguenza degli arresti successivi all’operazione “Uova del Drago”.
“SENZA DI ME LA COSCA BONAVOTA NON SAREBBE ARRIVATA DOV’è”
Eppure, il pentito rivendica il suo ruolo all’interno del clan che grazie alla sua azione ha potuto scalare le gerarchie criminali tra le consorterie del Vibonese: “La mia posizione all’interno della cosca, per tutto quello che avevo fatto, in particolare a livello di omicidi, era certamente tale da garantirmi un posto di primo piano nella spartizione degli utili derivanti da qualsiasi affare gestito dalla nostra consorteria. Se non fosse stato per me, infatti, questa non sarebbe arrivata dove è arrivata e quindi è ovvio che mi spettasse una parte uguale a quella di Domenico Bonavota in relazione a qualsiasi entrata”.
Il Quotidiano del Sud.
La faida di “Gringia” e l’imbasciata di Luigi Mancuso ai Bonavota: “Mantenere la pace”