La donna del futuro, il racconto e le nuove forme dell’esperienza
- Postato il 25 maggio 2024
- Di Il Foglio
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La donna del futuro, il racconto e le nuove forme dell’esperienza
Quando è uscita la trilogia di Rachel Cusk: Resoconto; Transiti; Onori, si è parlato di nuovo di fine del romanzo. Con ragione, se per fine del romanzo si intende quello che già Virginia Woolf aveva previsto, e che Cusk parafrasa in Coventry (Einaudi): “La forma e la struttura del romanzo, il suo impianto percettivo, persino la dimensione e la tipologia della frase erano strumenti forgiati dagli uomini a loro uso e consumo. La donna del futuro, dice Woolf, concepirà un proprio tipo di frase, di forma, e la userà per scrivere della propria realtà. E, per giunta, quella realtà avrà i propri valori”. Il romanzo, del resto, è una forma recente, sempre più erosa dall’audiovisivo. La scrittura però gode di ottima salute, è solo alla ricerca di nuove forme. Rachel Cusk ne ha praticate molte, a partire dal saggio personale Il lavoro di una vita. Sul diventare madri, del 2001: un’onesta, a tratti brutale, riflessione sull’esperienza della maternità, sull’isolamento conseguente, sugli accordi familiari e la lenta ripresa di un’identità di scrittrice. Un libro che oggi sembra digeribile (in Italia è stato pubblicato solo nel 2021) perché la mistica della maternità è stata in parte intaccata da racconti soggettivi, ma che ai tempi fu molto criticato. Nel saggio su Natalia Ginzburg in Coventry, Cusk ritrova nella scrittrice italiana i temi che le sono cari e le conclusioni a cui era arrivata nel suo lavoro: “Ginzburg sviluppa tecniche a cui la letteratura contemporanea sta approdando solo adesso. La prima e cruciale è la profonda comprensione dell’Io e della sua funzione morale nella narrazione; la seconda è l’affrancamento dalla forma letteraria convenzionale e dalle strutture di pensiero ed espressione che già secondo Virginia Woolf dovevano essere liquidate perché potesse nascere un’autentica letteratura femminile”.
Ma Coventry non è solo una raccolta di saggi di critica letteraria, anzi quello in cui riesce meglio è il racconto dell’esperienza. Restano impresse le immagini, fra cui quella dei figli adolescenti che sono leoni al guinzaglio: “Mia figlia e il figlio della mia amica si salutano con monosillabi idiomatici: sembrano due abitanti dello stesso paese lontano che si sono incontrati qui, nel mio soggiorno (…) si piazzano vicino a noi, due leoni che riposano all’ombra dei rispettivi alberi, e osservano”. Cusk scrive di figli adolescenti perché è la sua esperienza di vita, ma anche esperienza letteraria: sta lavorando a una riscrittura di Medea, per cui vorrebbe convincere il regista che i figli in Medea non muoiono, perché “le donne non sopprimono i figli. Sono i figli che sopprimono le madri”.
Questa ricerca sulla maternità, così come quella sul femminile, non è né pessimista né cupa, va di pari passo con la felicità, per esempio, di essere fuori per pranzo con la figlia grande, lontano dalla casa, “ritrovandoci dall’altra parte delle sbarre, entrambe libere”. Un passaggio che parla anche della propria esperienza di figlia (così come il saggio Coventry), e del sé adolescente che è il più reale che abbiamo abitato, e quei ricordi i più potenti, il sentirsi “impotente e oltraggiata insieme”. C’è il tema della casa, a cui del resto era dedicato tutto Transiti, con l’ordinaria follia di una ristrutturazione complicata. La guida, la maleducazione, e tutta una parte dedicata alla vita. La seconda parte del libro contiene saggi sulla scrittura e sull’arte.
L’ultima parte è dedicata ai saggi di critica letteraria, alcuni – quello su Mangia prega ama ma anche su Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro – gustosamente crudeli: “Il romanziere cerca di tradurre tali fantasie nella prova empirica che sta a cuore alla cultura letteraria maschile (…) una versione prestigiosa della passione dei tabloid per i dettagli cruenti”.
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