“La detenzione di Rima Hassan è un attacco di Israele all’Europa”: intervista a Sergio Toribio, attivista di Freedom Flotilla

  • Postato il 11 giugno 2025
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“Quelli che sono rimasti in detenzione, Rima Hassan e gli altri, hanno fatto una scelta coraggiosa. Stanno facendo salire la pressione non solo su Israele e sulle sue azioni illegali, ma anche sui Paesi occidentali che non ci hanno aiutato nella nostra missione, almeno finché non siamo stati arrestati. Tenere in prigione un’eurodeputata come Hassan, che come tutti noi non ha commesso nulla di illegale, è un attacco all’Europa”. Sergio Toribio è uno dei quattro attivisti della Freedom Flotilla (su 12) che è tornato nel suo Paese 24 ore dopo che il veliero su cui navigava, la Madleen, è stato fermato in acque internazionali a 100 miglia dalle coste di Gaza dall’esercito israeliano. “Una volta arrivato nel centro di detenzione a Tel Aviv, mi sono consultato con il delegato del consolato spagnolo che mi ha dato l’opzione di tornare immediatamente. Ho valutato che nel mio caso era la cosa migliore. Ma non ho firmato nessuna carta in cui ammetto di essere entrato illegalmente in Israele, come dicono”.

Cosa ha firmato esattamente per tornare in Spagna?
Soltanto un documento dove accetto il rimpatrio e che mi notifica un divieto di ingresso in Israele per 100 anni. Prima mi avevano preso impronte e dati biometrici. Non ho firmato invece un altro documento, che ho conservato, dove ammettevo l’ingresso illegale nel Paese. Non ho alcuna intenzione di andare in Israele per i prossimi 100 anni, ma tornerò a Gaza. Se sarò fermato sarà per le stesse ragioni illegali con cui hanno sequestrato la nostra nave. Non siamo entrati noi in Israele, ci hanno trascinato i militari: noi avevamo come destinazione uno dei porti internazionalmente riconosciuti di Gaza

L’ultima immagine che abbiamo della notte del vostro arresto è quella di voi seduti nella cabina a mani alzate. Cosa è successo nel seguito?
Intanto, prima che la nave venisse abbordata siamo stati raggiunti da tre droni. Uno ha anche urtato un cavo delle vele. Uno aveva un faro potentissimo e l’altro ha iniziato a lanciarci dall’aria un liquido bianco. All’inizio ci siamo spaventati pensando fosse urticante o lacrimogeno, però sono andato a lavarmi le mani e non ho sentito nulla. L’unica cosa che ho notato è che la schiuma diventava nera a contatto con l’acqua. Poi sono arrivate due lance con 12 soldati: sono saliti a bordo mentre con un megafono ci ripetevano di stare calmi. Ci hanno fatto alzare uno a uno e svuotare le tasche. Avevamo già gettato i telefoni a mare. Poi è cominciato il sequestro: dopo 25 ore siamo finiti nel centro di detenzione a Tel Aviv, vicino all’aeroporto. Dove nessuno di noi voleva andare.

In realtà c’è anche un’altra foto: vi hanno dato panini e acqua…
Quei video sono editati, se pubblicassero l’integrale si vedrebbe che nessuno di noi ha consumato i panini e l’acqua che ci hanno offerto, per non piegarci alla propaganda israeliana. E si vedrebbe anche che Greta ha preso il panino che gli porgeva un militare e lo ha gettato in terra.

Ha parlato con i suoi compagni di viaggio che sono rimasti in carcere? Perché loro non hanno firmato, forse sono stati consigliati diversamente dai loro consolati nazionali?
All’inizio del viaggio ci eravamo accordati sul fatto di non firmare nulla, nell’eventualità in cui saremmo stati arrestati. Io credo che si siano semplicemente attenuti a questo principio, coraggiosamente. Noi che siamo tornati cerchiamo di continuare la nostra battaglia sui media, loro continuano a sollevare lo scandalo contro uno Stato che non solo sta commettendo un genocidio in Palestina, ma ha arrestato illegalmente cittadini europei in acque internazionali, fuori da ogni legalità.

Cosa farà adesso?
Ho cercato di raggiungere la marcia per Gaza in Egitto, ma i voli erano troppo costosi a questo punto. Con l’avvocato Jaume Asens, che è anche eurodeputato, ho avviato l’iter di una denuncia per detenzione illegale contro Israele davanti al tribunale dell’’Audencia nacional. Da lì, spero che la causa possa essere trasmessa a un tribunale internazionale che ha giurisdizione.

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