La critica d’arte è davvero al capolinea o si sta trasformando? La scrittura d’arte oggi: cliché e vie di uscita

  • Postato il 19 agosto 2025
  • Professioni
  • Di Artribune
  • 1 Visualizzazioni

Nel dibattito sulla scrittura critica viene evidenziato come questa sia oggigiorno caratterizzata da un eccesso di teorizzazione, una qualità stilistica spesso trascurata e una difficoltà crescente nel comunicare in modo efficace con il pubblico. E a questo si aggiunge una produttività frenetica che penalizza l’approfondimento. Le soluzioni qui avanzate conducono al ritorno di una scrittura più semplice e accessibile, capace di valorizzare il lavoro degli artisti e di restituire alla critica il suo ruolo essenziale: essere un ponte tra l’opera e il pubblico, anziché un esercizio di stile. 

Sullo stato della critica d’arte: la scrittura d’arte oggi   

Al di là delle condizioni economiche soggiacenti”, interviene Giorgio Di Domenico, “vero nodo del problema, mi sembra comunque auspicabile che inizi a definirsi professionalmente e a livello formativo, anche in Italia, una figura specializzata in art writing, non necessariamente incardinata in ruoli curatoriali, accademici o editoriali, capace di produrre scritture che affianchino, supportino e sostengano le ricerche artistiche. Una maggiore professionalizzazione potrebbe anche contribuire a evidenziare l’effettiva necessità di quelle figure per il sistema, favorendo un progressivo riconoscimento anche del valore economico della scrittura. In questo contesto, al di là della formazione specifica, sarebbe auspicabile un investimento collettivo sulla qualità della scrittura, ormai avvilita da una sciatteria dilagante. Scorrendo comunicati stampa, fogli di sala, articoli in riviste, interviste, saggi in catalogo e cartellini di mostre e musei capita sempre più frequentemente di imbattersi in una brutta scrittura, macchiata da errori evidenti, senza arrivare a scomodare l’ambizione a una qualche dignità stilistica, che pure, in un sistema sano, sarebbe pienamente legittima. Ad aggravare la situazione, quella brutta scrittura serve spesso da contenitore per un sistema ristrettissimo di riferimenti teorici, spesi ossessivamente, senza una vera attinenza all’opera commentata, nel tentativo maldestro di assicurare allo scritto una presunta dignità intellettuale che altrimenti non potrebbe vantare. Il risultato è inevitabilmente grottesco”. E conclude: “Mi sembra dunque necessaria, al di là di una banale riduzione quantitativa di scritture spesso superflue o ridondanti, un’iniziativa collettiva di pulizia, di deteorizzazione e di recupero di una scrittura più semplice, più corretta e, in definitiva, più accessibile, capace di mettersi al servizio delle opere e degli artisti, delle istituzioni e dei suoi pubblici”.

La critica d’arte rischia di diventare un esercizio fine a se stesso

Così, come ha fatto notare Vincenzo Trione, un apparato pesantemente teorico e un linguaggio oltremodo ostico o inadeguatamente erudito e sconnesso dal presente hanno fatto della critica d’arte un esercizio fine a se stesso e sulla questione non sembra esserci chi la pensa diversamente: “Un grosso problema nell’ambito della scrittura è stata l’ondata di citazionismo theory che, almeno da dieci anni a questa parte, ha colpito la critica d’arte e la curatela. È stata un’ondata che ha portato all’affermarsi di mode teoriche che hanno avuto la vita delle farfalle. Si pensi all’object-oriented-ontology, al realismo speculativo, all’accelerazionismo o a tutti i neologismi che sono nati attorno al postumanesimo. Qualche anno fa si faceva a gara a citare Mark Fisher, Timothy Morton o Rosi Braidotti: erano tutti autori e autrici che, puntualmente, ritrovavi nei comunicati stampa e nei testi curatoriali. Nella maggior parte dei casi, il risultato applicativo di queste teorie è stato goffo, maldestro: si è cercato di piegare riflessioni nate altrove e per altri obiettivi a opere che neanche lontanamente riuscivano a rispecchiarle. Credo che la strategia per fronteggiare l’iperproduttività del sistema dell’arte contemporanea, e la bulimia quasi endogena della curatela – che ha sempre bisogno di nuovi artisti, di nuove tematiche, di nuove mode teoriche da assecondare – sia quella della lentezza. Fare critica oggi, per me, significa stare accanto agli artisti, seguirne pochi, essere sempre aggiornati sui loro lavori, ascoltarli senza credere a tutto quello che dicono, e, nella scrittura, non dire mai nulla che non possa essere indicato, partire sempre dall’opera e non dalle teorie. Sono per una critica lenta e partigiana”, spiega Di Rosa. A cui si aggiunge Zompa sostenendo che talvolta si imbatte in testi ben scritti, con idee originali e una reale conoscenza dell’artista ma, spesso, a prevalere è un’analisi superficiale: “Non ne faccio una colpa al singolo, è un fenomeno sistemico: scrivere richiede tempo, così come pensare, conoscere gli artisti e studiare. Viviamo in un mondo sempre più veloce e orientato alla performance, in cui la quantità prevale sulla qualità, e l’arte non fa eccezione. La superficialità mi sembra sempre più inevitabile, e riguarda tutti noi, da vicino. Ma poi questi testi vengono letti? Non ne sono sicura. Credo che ci leggiamo davvero in pochi e, forse, siano soprattutto gli artisti stessi a leggerci quando parliamo di loro”.

La figura dell’art writer

E la sintesi di questo ampio discorso dedicato alla scrittura è avanzata, in conclusione, da Di Domenico che ritorna sulla figura dell’art writer “ideale e necessario” che dovrebbe essere “una sorta di mediatore, un alleato dei pubblici, sempre dalla parte degli artisti, pagato dal sistema per rendere facili, con belle parole, cose difficili” perché “in Italia, troppo spesso, si fa il contrario: si rendono difficili, con brutte parole, cose facili”.

A cura di Caterina Angelucci

L’articolo "La critica d’arte è davvero al capolinea o si sta trasformando? La scrittura d’arte oggi: cliché e vie di uscita" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

Potrebbero anche piacerti