La Cina punta al monopolio globale sul cesio. Dalle comunicazioni alla Difesa: così si apre un altro fronte di scontro con l’occidente

  • Postato il 12 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Le terre rare, certo. Ma la posizione della Cina nel mercato dei materiali critici non si esaurisce ai 17 elementi della tavola periodica ampiamente utilizzati nel settore hi-tech. Nel dicembre 2024 Pechino ha vietato l’export verso gli Stati Uniti di gallio, germanio e antimonio, componenti essenziali per la fabbricazione di armi e semiconduttori, di cui la Repubblica popolare è il maggior produttore al mondo. In futuro potrebbe essere il cesio il nuovo terreno di scontro tra il gigante asiatico e l’occidente. Alcune avvisaglie ci sono già, ma solo pochi se ne sono accorti. Metallo alcalino raro e altamente reattivo, il cesio è un componente chiave in tecnologie come la navigazione GPS, gli orologi atomici, le trivellazioni di petrolio e gas, le telecomunicazioni e l’industria aerospaziale. Ottenuto in gran parte dalla pollucite, un minerale presente nei giacimenti di litio, è considerato un materiale critico a causa della sua scarsa reperibilità e dei suoi usi strategici. E la Cina ne detiene di fatto il monopolio.

Sinomine Resource Group, colosso cinese del mining, sta rafforzando la sua posizione dominante nel settore. Con un investimento di oltre 400 milioni di dollari, recentemente ha avviato la costruzione di due impianti per la fusione e l’estrazione del cesio in Zimbabwe, dove dal 2022 detiene la proprietà della miniera di litio Bikita Minerals. Il più recente dei due – annunciato a luglio – è l’unico stabilimento al mondo per la separazione del metallo dai rifiuti di petalite; un processo che, non richiedendo l’estrazione di nuova roccia dura, permette significativi risparmi economici.

Con l’espansione in Zimbabwe, Sinomine ottiene il controllo degli unici due siti per la produzione di cesio già operativi a livello globale. L’altra miniera in funzione – Tanco Mine – si trova in Canada ed è stata acquisita dal gruppo cinese nel 2019. Inutile dirlo, con il raddoppio africano, la Cina è proiettata a ottenere il monopolio delle forniture mondiali del metallo, aggiudicandosi un altro punto nella partita mondiale per il dominio tecnologico. Per Pechino scalare la catena del valore è necessario innanzitutto per portare a termine i propri piani di sviluppo nazionale. Ma i risvolti geopolitici della corsa ai materiali strategici sono evidenti.

Mentre infatti vari paesi come Canada, Germania e Ucraina vantano giacimenti di cesio, come per la miniera di Tenco, la maggior parte della produzione del metallo estratto viene ancora spedita in Cina per la fase di lavorazione. I rischi del controllo cinese sono ormai chiari: basta guardare alle terre rare, diventate un’arma ritorsiva nella trade war con Washington. Sebbene i negoziati abbiano sbloccato le forniture per scopi commerciali, secondo il Wall Street Journal Pechino sta limitando l’import dei materiali critici da parte dei produttori occidentali del settore della difesa, costretti ora ad attese interminabili o a sostenere costi fino a sessanta volte più alti del normale. Nel caso del cesio non esiste nemmeno un mercato spot pubblico, il che rende più difficile determinare il prezzo corrente.

In Canada, dove la presenza cinese nel mining è diventata particolarmente ingombrante, si sta tentando di correre ai ripari. Nel 2022 il governo di Ottawa ha cercato di correre ai ripari, introducendo un divieto sui nuovi investimenti da parte di società straniere controllate dallo Stato nel settore dei materiali critici. La misura ha costretto Sinomine a disinvestire dal gigante locale Power Metals e annullare un accordo che le avrebbe garantito il diritto sulla produzione di Case Lake, nell’Ontario, dove è stata identificata una riserva di cesio di qualità superiore rispetto a quella di Tanco. In futuro il sito potrebbe diventare il primo al mondo per capacità produttiva.

Intanto però il tempo passa e il metallo si è già trasformato in un asset strategico. Secondo un funzionario dello Zimbabwe citato da Obert Bore, redattore di The China Global South Project, per anni il Giappone è stato un acquirente abituale di pollucite contenente cesio, estratta dalla miniera di Bikita. Ma ha improvvisamente incontrato difficoltà ad accedere all’impianto da quando Sinomine ne ha preso il controllo nel 2022. A nulla sono valsi i tentativi delle autorità giapponesi di coinvolgere il Ministero delle Miniere e dello Sviluppo Minerario dello Zimbabwe per ripristinare le esportazioni: le spedizioni verso l’arcipelago – sostiene la fonte – sono completamente cessate. Una dinamica che ricorda il ban ufficioso imposto da Pechino nel 2010 sull’export delle terre rare all’apice della controversia territoriale sulle isole Diaoyu/Senkaku. A quindici anni di distanza, secondo l’Organizzazione giapponese per i metalli e la sicurezza energetica, il paese dipende ancora dalla Repubblica popolare per il 70% delle importazioni dei 17 elementi. In tempi di tensioni internazionali, l’esperienza del Giappone rappresenta un precedente difficile da ignorare.

Foto Captmondo CC BY-SA 3.0

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