La bara di Francesco e il Conclave: È calabrese il falegname del Papa
- Postato il 3 maggio 2025
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Il Quotidiano del Sud
La bara di Francesco e il Conclave: È calabrese il falegname del Papa
Placido Fois, di Lago, lavora come falegname da 13 anni in Vaticano ed ha realizzato la bara di Papa Francesco: «Bergoglio fuori dagli schemi. No al catafalco, esposto nel feretro»
Il maestro ebanista Placido Fois è appena uscito dalla Cappella Sistina dove fervono i preparativi per l’allestimento del conclave. Fois, calabrese di Lago, si occupa di tutto quello che riguarda il grande reparto di falegnameria del Vaticano. Nella Cappella ha partecipato ai lavori di sistemazione necessari a far sedere i 133 cardinali che dovranno eleggere il Papa, occupandosi in particolare del restauro e della lucidatura delle parti in legno. In 13 anni di servizio in Vaticano si è occupato direttamente delle bare di due papi: Benedetto XVI e Francesco.
Il maestro calabrese ricorda con commozione il suo primo incontro con Bergoglio, del quale ha realizzato il feretro: croce bianca, stemma episcopale e incisione di un passo tratto dal Vangelo, Miserando atque eligendo, “Guardando con compassione e scegliendo”.
«Volle conoscere i componenti dei reparti che lavoravano per il Vaticano. Ci ricevette a Santa Marta e, dopo la Messa, volle stringere la mano ad ognuno di noi. Era molto tranquillo. Normalmente, mentre si lavora, quando passa un Papa la gendarmeria invita tutti a spostarsi. Ma Francesco tutto questo non lo voleva e ci lasciava lavorare serenamente».
La storia lavorativa e professionale di Fois comincia a Lago, piccolo paese in provincia di Cosenza.
«Senza conoscere le tecniche giuste, all’età di 18 anni, nella mia abitazione, iniziai per hobby e da autodidatta a realizzare un piccolo portagioielli di legno intarsiato. Non avevo ancora mai avuto il piacere di visitare una falegnameria. Non appena ultimato il portagioie, lo mostrai a parenti e amici: suscitò un enorme successo. Mi chiesero, così, di realizzarne degli altri. Una piccola casa di proprietà accanto alla mia divenne il mio laboratorio. Qui costruii numerosi portagioielli e cominciai ad attrezzarmi a dovere. Capii che era un modo per racimolare qualche soldino. Sempre da autodidatta, cominciai a realizzare scacchiere, consolle, tavolini da salotto. Non c’era, però, molta vendita e pensai di dedicarmi all’arte del restauro, studiandone le varie procedure e facendomi conoscere anche ad Amantea. Appresi qualche tecnica dal falegname del paese di Lago, il grande intagliatore Francesco Procopio (detto ‘Cicco’, ndc), e da Mario Paladino che aveva un negozio di restauro. Andavo sempre da loro a rubare qualche trucco del mestiere. E man mano riuscii ad aprire una piccola bottega a Lago. La passione aumentava giorno dopo giorno. Mi piaceva tanto prendere un vecchio mobile e restaurarlo, riparandone le cornici, sistemandone le cerniere. Una volta finito, dentro di me nasceva un’immensa soddisfazione, che mi ha aiutato ad andare avanti e a cercare di fare di più e ancora di più. Nel 2005, per tre anni seguii un corso a Bisignano presso la Scuola di Arte e Mestieri, ricevendo la qualifica di falegname ebanista. Dopo circa 12 anni di lavoro in paese, decisi di allargare gli orizzonti verso il resto d’Italia. Partii per Roma, Venezia, Firenze, per scoprire il nuovo. Mio fratello, don Antonio Raimondo Fois, era sacerdote a Roma e gli avevo da sempre chiesto di fargli visita. Mi scattò la molla: sognai di restaurare la Camera, il Senato e il Vaticano. Partii per rimanere nella Capitale, definitivamente. Avevo conosciuto una persona che possedeva l’importante ditta ‘Picalarga’, nei pressi di Roma, che lavorava per la Camera, il Senato e il Vaticano. Decisi di presentarmi e a seguito del colloquio rimasi in prova per un mese e poi mi fui assunto. Vi lavorai per quasi dieci anni. Sono, oggi, consapevole di essere cresciuto tantissimo professionalmente anche per aver lavorato in posti così importanti».

Uno dei suoi portagioielli è rimasto in Vaticano.
«Lo avevo dato ad un cardinale a cui era piaciuto al punto tale da scrivermi una lettera in cui chiedeva espressamente di lasciarlo per sempre in Vaticano, come memoria. Si trova al governatorato: ogni segretario che si sussegue lo trova sulla sua scrivania».
Quali lavori ha effettuato nella sua carriera professionale?
«Come capocantiere ho lavorato al restauro della Camera dei deputati, alla Cassazione ho restaurato le porte, al Quirinale mi sono occupato della costruzione della Biblioteca. Ho lavorato anche a casa di Scalfaro, Cossiga, Bulgari. Naturalmente andavo spesso anche in Vaticano, dove lavoravo al restauro e alla costruzione dei mobili per la ditta ‘Picalarga’, lavoravo ancora al portone della Cappella Sistina e della Cappella Paolina (dove si incontrano i cardinali prima di entrare nella Cappella Sistina per il conclave), nella Sala Regia e alla pannellatura della Biblioteca Vaticana. Ho restaurato i confessionali della Basilica di San Pietro e partecipato alla restaurazione del Portone di Bronzo e di mobili di grande valore nei musei».
Come si prepara la Cappella Sistina per il conclave?

«La Cappella Sistina va svuotata. Si procede poi dall’altare a scendere. Della prima fase se ne occupa l’edilizia, perché l’intervento va fatto con i tubi Innocenti, livellata e rialzata di quasi 70 centimetri e coperta con tavole. Il mio compito è il restauro del passaggio tra la Cappella Sistina e la Sala del Pianto, dove c’è un passetto in legno. Tra la prima e la seconda stanza della Cappella Sistina è presente uno scivolo con corrimano, insieme alla squadra che dirigo mi occupo della lucidatura di tutto quello che c’è nella Cappella, ad esempio i banchi dove i cardinali effettuano la votazione durante il conclave».
Dalla ditta “Picalarga” passò a lavorare per il Vaticano.
«Notarono il mio lavoro e chiesero se mi avrebbe fatto piacere lavorare con loro. Non me lo feci ripetere due volte e accettai subito. Sono oramai 13 anni che faccio parte dello Stato del Vaticano. Ho anche una piccola bottega. Coltivo questa passione persino nel privato, facendo lavori di intarsio e restauro».
Quali sono le sue mansioni in Vaticano?
«Sono responsabile del controllo, della lucidatura, conservazione e del restauro di quasi tutti i mobili».
Di quale materiale sono composti i mobili in Vaticano e qual è quello più prezioso?
«I mobili del Vaticano sono per il 99% in noce nazionale, il massimo. Resta qualcos’altro composto con altri tipi di legno. Il più importante e prezioso? Ce ne sono tanti. Sicuramente quello che si trova nella Sala dell’Immacolata, ma anche nell’antica Spezieria, nei Musei Vaticani».
Quali papi ha conosciuto personalmente e quali sono i suoi ricordi?
«Da quando sono entrato in Vaticano, i due papi che ho conosciuto sono stati Papa Ratzinger e Papa Francesco. Con Benedetto XVI i rapporti erano occasionali, era difficile vederlo. Ebbi più occasioni di incrociarlo solo dopo il suo ritiro. Era in Vaticano e spesso andavo a casa sua per effettuare alcune manutenzioni e lavoretti di piccola falegnameria. Papa Francesco, invece, ho avuto modo di vederlo più volte. Un’occasione di incontro fu grazie all’Atletica Vaticana, squadra di atletica del Vaticano formata dagli operai e di cui faccio parte. Prima di ogni gara ufficiale voleva incontrarci per spronarci e darci la giusta carica. Nell’ultimo periodo l’ho visto solo per Natale e Pasqua. Quando doveva dare la benedizione Urbi et Orbi montavamo una pedana su cui saliva per affacciarsi e incontrare i fedeli. E prima dell’apertura della finestra si fermava con noi, nella Sala Reggia, per salutarci. L’ultima volta in cui l’ho visto è stato proprio il giorno di Pasqua. Ci siamo salutati come sempre, ma era evidente che stesse poco bene».
Che differenza c’è tra le bare precedenti e quella di Papa Francesco?
«Le bare di Papa Ratzinger erano tre: una di cipresso, che si vedeva in tv, una di piombo ed entrambe venivano messe in una terza bara di rovere, prima di essere seppellita. Quella di Papa Francesco, invece, è stata una bara unica di rovere e al posto del piombo c’era lo zinco. Papa Benedetto XVI venne messo sopra il catafalco, come per i precedenti Papi esposti a San Pietro, mentre Papa Francesco ha voluto rompere gli schemi ed è stato sì esposto ma nella bara, per sua decisione».
Ha fatto parte anche della squadra di Atletica del Vaticano. Da dove nasce questa passione e che risultati ha ottenuto?
«Ho sempre avuto la passione per la corsa. Quando ero in gara raggiungevo ottimi risultati. Ho fatto tante maratone, mezze maratone e 10.000 km, che percorrevo in 37 minuti: nella categoria Over 50 riuscivo a piazzarmi tra i primi 10 e poche volte anche nei primi 3. Oggi, mi alleno ma non gareggio più. Mi sono dedicato al tennis. Di domenica mi ritrovo, però, con gli amici a Villa Panfili e percorriamo 15-20 Km in scioltezza».
Per il primo cittadino di Lago, Enzo Scanga, «la realizzazione del feretro di Papa Francesco da parte del concittadino e maestro restauratore Placido Fois è motivo di grande orgoglio per la comunità di Lago. Gesto che unisce fede, arte e tradizione, e che dimostra come da un piccolo paese possano nascere mani capaci di lasciare un segno nella storia. A Fois va il più profondo ringraziamento, perché con la sua opera ha onorato non solo il Santo Padre ma anche le radici e il valore del territorio».
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La bara di Francesco e il Conclave: È calabrese il falegname del Papa