Jurassic World: La Rinascita – Un’avventura selvaggia e nostalgica tra dinosauri e atmosfere anni ’70
- Postato il 3 luglio 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il franchise di Jurassic Park vira verso l’avventura modello anni settanta e diventa uno spasso. Jurassic World: La Rinascita – il settimo titolo della serie – sembra una miscela di orche assassine, squali voraci, pennellate di foreste mortali alla Deodato e Lenzi. Una mini spedizione top secret organizzata dalla multinazionale farmaceutica ParkerGenix vuole raggiungere l’isola di Saint-Hubert nell’Oceano Atlantico per recuperare campioni di sangue di tre dinosauri (uno di terra, uno di acqua, uno di aria) geneticamente mescolati e resistenti. Il sangue serve per produrre una medicina che curerebbe importanti malattie cardiovascolari.
Il gruppo di mercenari è capitanato dall’agente Zoe (Scarlett Johansson), coadiuvato dal capo imbarcazione Kincaid (Mahershala Ali) e dal paleontologo geek Loomis (Jonathan Bailey). A pochi chilometri da loro una barchetta privata con babbo Ruben (Marco Garcia-Rulfo), figlioletta e figliola con fidanzato, viene ribaltata da un enorme mosasauro. Recuperati i naufraghi appena l’ipertecnologica barca di Kincaid entra nelle acque di Saint-Hubert viene attaccata sia dal mosasauro che da cattivissimi e saettanti spinosauri. Decimati, separati casualmente in due gruppi (la famigliola e la spedizione ufficiale) senza vere e proprie armi e con qualche ferita, i due gruppi tenteranno parallelamente di raggiungere la base geotermica disabitata dell’isola attraversando foreste, rocce, paludi, fiumi e cascate, ma i deformi e feroci dinosauri faranno di tutto per eliminarli prima che un elicottero arrivi in soccorso.
Le psicologie appena accennate (proprio come in certo cinema anni settanta) lasciano lo spazio ad un’atmosfera avventurosa baldanzosa ed evocativa, a un’oculata sintesi drammaturgica (la spinta a sopravvivenza e salvezza, nonostante la missione filantropica e scientifica), ma anche al solito drastico, sbilanciato affronto uomo-dinosauro con i protagonisti in perenne affannata fuga, questa volta con nemici particolarmente agguerriti come gli pterosauri e un mutante Distortus rex. C’è tutto il tempo però per curare sfumature formali e raffinate citazioni.
Il cinema di Gareth Edwards (Monsters, Godzilla) è un luna park coinvolgente e mai truculento, devastante ma mai apocalittico, che rispetta lo spettatore nella verosimiglianza (come i dinosauri risucchino gli umani in fuori vista senza ricorrere allo splatter o all’insistenza voyeuristica è da applausi), gli concede la meraviglia (la sequenza dell’amore tra brontosauri, un classico del franchise) e non gli lascia mai spazio per lacrime o risatine gratuite (qui la serietà di David Koepp allo script aiuta).
Tutto il viaggio iniziale sulla barca di Kincaid è il doppione originale e rispettoso di Lo Squalo di Steven Spielberg (qui tra gli executive di un suo franchise), la provetta impossibile da acciuffare è Indiana Jones e il tempio maledetto, mentre Edwards ricompone atmosfere new horror/thriller (A quiet place) con la sequenza talentuosa del pterosauro nel supermercato o dell’impronta dei denti che un tirannosauro (mezzo addormentato) spinge sul gommone ribaltato sotto il quale si nasconde la figlioletta di Ruben. In un tal lavoro apparentemente privo di appeal per una star, in un film in cui i caratteri dei protagonisti sono ritagliati con l’accetta, la presenza grintosa, sexy e in canottiera della Johansson è un esempio di curiosa e funzionale umiltà, come di reale talento performativo oltre le tutine della Marvel e il broncio per le commediole alleniane. Producono Universal e Amblin. Gli accenni minimali al celebre tema musicale di John Williams sono di Alexandre Desplat.
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