Jacob Duran, da Tyson a Klitschko una vita all’angolo: “Perché mi chiamano Stitch? Significa ‘punto di sutura’…”
- Postato il 21 aprile 2025
- Sport
- Di Il Fatto Quotidiano
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È il cutman baffuto della boxe, riconoscibile sia per essere all’angolo dei campioni veri sia per occuparsi al cinema, ma qui solo per finzione, del trattamento dei danni fisici degli attori-pugili. Discendenze messicane, Jacob Duran, nato in California nel 1951, oggi vive a Las Vegas. Per tutti è Stitch, tradotto letteralmente “punto di sutura”. È il presidente onorario dell’International Cutman Association, fondata a Roma dal suo collega italiano Federico Catizone. “La formazione dell’ICA è estremamente importante, considerando che non esiste per i cutman una certificazione obbligatoria e spesso all’angolo si vedono ancora molti errori. Quando ero agli inizi c’erano cutman che volevano portare i loro segreti in tomba“.
Lei quando ha iniziato la sua attività?
Da bambino sognavo di diventare un giocatore professionista di baseball, anche al college l’ho praticato. Poi sono entrato nell’Air Force e sono finito in Thailandia, dove ho visto per la prima volta Muay Thai, erano gli anni di Bruce Lee. Sono passato alla kickboxing, diventato allenatore, ho dovuto per la prima volta svolgere la funzione di cutman.
Chi le ha dato questo soprannome così metaforico?
È stato il kickboxer Dave Rooney a ribattezzarmi Stitch dopo uno sparring con Dennis Alexio, quello che ha recitato nel film con Van Damme. Grazie al mio lavoro Dave ha evitato di finire in ospedale e dal giorno dopo ha iniziato a chiamarmi così.
Chi sono i pugili preferiti con i quali ha lavorato?
I due Klitschko. Ero stato all’angolo di Wladimir durante Ocean’s Eleven, ma solo per finzione. Poi, dopo una sconfitta, ha chiesto al suo allenatore Emanuel Steward di avere il cutman del film. Nel 2004 al Caesar Palace ho fatto un lavoro complicato, fermando il taglio e il sangue che scendeva. Alla fine Wladimir ha vinto ai punti.
Di quale altro pugile sarebbe invece voluto andare all’angolo?
Di Roberto Duran, il mio pugile preferito di sempre. Divertente e pazzo. Un giorno ci siamo incontrati in un Casinò di Las Vegas durante una riunione e mi ha detto: sono orgoglioso di come rappresenti la Raza. È stato un grande onore per me.
Il match più duro?
Quella volta con Anthony Dirrell. Il giorno dopo la moglie mi ha chiamato per ringraziarmi. L’ho rivisto poco fa e mi ha detto: ‘Hey Stitch, grazie a te oggi sto bene’.
Con i maestri va sempre d’accordo?
A volte è difficile fermare l’incontro, quando l’allenatore la vede in maniera diversa. Ma bisogna capire che certi danni possono essere a lungo termine.
Recentemente è stato il cutman nel rientro di Mike Tyson.
Non lo vedevo da tanto tempo ed è stato divertente esserci, anche se è stato solo un celebrity match buono per i social. Ha quasi 60 anni, alla vigilia non stava benissimo, ma sul ring ha reagito bene. Grande rispetto per lui. Mike Tyson è Mike Tyson come Ali è Ali.
Com’è il suo rapporto con il cinema?
Io non sono un attore, recito sempre la parte di me stesso. È vero, a volte all’angolo mi sembra di essere al cinema e a volta in scena mi sembra di stare in un match ufficiale.
Il film in cui ha recitato che ha raccontato meglio la boxe?
L’ultimo Creed. Durante Creed II, Michael B. Jordan mi ha fatto i complimenti e davanti a tutti mi ha detto che ci sarei stato anche nel seguito nel quale lui sarebbe stato il regista. Io sono solo un semplice ragazzo messicano, ma mi ha chiesto se per favore fossi intervenuto, nel caso avessi notato qualcosa di distante dalla boxe vera.
Ha fatto anche l’ultimo episodio di Rocky.
Avevo in programma un match già fissato, quando mi chiamano per fare Rocky Balboa, io volevo rifiutare per rispettare gli impegni presi con l’organizzazione, ma mia moglie mi fa: ‘Non puoi, Rocky è un’icona americana’. E ha capito anche il pugile e il suo maestro.
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