Italiani pagavano per andare ad uccidere civili a Sarajevo, l’inchiesta coinvolge anche torinesi

  • Postato il 12 novembre 2025
  • Cronaca
  • Di Quotidiano Piemontese
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TORINO – A trent’anni dall’assedio di Sarajevo, una delle pagine più oscure del Novecento europeo, riemerge una vicenda che tocca da vicino anche l’Italia e, in particolare, il nord del Paese. Una nuova inchiesta della Procura di Milano, affidata al pm Alessandro Gobbis, indaga infatti su un gruppo di cittadini italiani che avrebbero partecipato tra il 1993 e il 1995 ai cosiddetti “safari di guerra”: spedizioni organizzate per sparare – “per divertimento” – sui civili della capitale bosniaca.

Tra i nomi citati nell’esposto presentato dal giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni, assistito dagli avvocati Nicola Brigida e dall’ex magistrato Guido Salvini, figurano anche uomini provenienti da Torino, Milano e Trieste. È la prima volta che la presenza di cittadini torinesi in questa tragica vicenda emerge con tale chiarezza, e il fatto getta un’ombra inquietante sulla partecipazione di italiani a uno dei più atroci episodi della guerra dei Balcani.

Secondo quanto ricostruito da Il Giorno e La Repubblica, e riportato nell’esposto depositato il 28 gennaio scorso, “un uomo di Torino, uno di Milano e un altro di Trieste” sarebbero stati identificati tra i presunti “cecchini del weekend” che dalle colline attorno a Sarajevo sparavano contro uomini, donne e bambini. I sospetti si basano sulle informazioni trasmesse all’epoca dal servizio di intelligence bosniaco al Sismi (oggi Aisi), secondo cui nel 1993 almeno cinque italiani si trovavano nelle zone di tiro insieme a militari serbo-bosniaci.

Dall’Italia alla Bosnia: un viaggio nell’orrore

Le indagini, ora affidate al Ros dei Carabinieri, dovranno verificare la fondatezza di queste testimonianze e accertare l’eventuale responsabilità di cittadini italiani. L’ipotesi d’accusa – omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti – lascia intendere la gravità dei fatti.
Gli italiani coinvolti, secondo le fonti bosniache, sarebbero partiti da diverse città del Nord, tra cui Torino, per raggiungere Trieste, punto di raccolta dei “volontari”, e da lì sarebbero stati condotti in Bosnia grazie alla complicità delle milizie serbo-bosniache fedeli a Radovan Karadzic, poi condannato per genocidio.

In quegli anni, la capitale bosniaca era diventata un inferno quotidiano: 11mila vittime, oltre 50mila feriti, una città assediata e costretta alla fame. In questo contesto, si sarebbero mossi uomini che – secondo l’ex agente dell’intelligence bosniaca citato nell’esposto – “pagavano somme ingenti per poter sparare ai civili, scegliendo i bersagli come in un macabro gioco”. I bambini, addirittura, “costavano di più”.

Torino e il peso della memoria

La notizia scuote anche Torino, città che da anni ospita una comunità bosniaca molto attiva nella promozione della memoria e nella denuncia dei crimini di guerra. La possibilità che un torinese possa aver partecipato, anche indirettamente, a quella carneficina è un colpo che riapre ferite mai del tutto rimarginate.

Fonti giudiziarie precisano che, per ora, non ci sono indagati ufficiali, ma solo un fascicolo “contro ignoti”. Tuttavia, la relazione inviata alla Procura di Milano dall’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karic, menziona esplicitamente la presenza di “ricchi stranieri, tra cui italiani, amanti di imprese disumane”.

Il filo che porta a Milano e Trieste

Tra i soggetti citati, spicca anche un medico milanese – proprietario di una clinica estetica – identificato come uno dei tiratori presenti sulle colline di Sarajevo nel 1993. Ma il coinvolgimento torinese aggiunge una dimensione nuova: quella di un’Italia settentrionale che, in alcune sue frange estreme, avrebbe coltivato legami inquietanti con l’ideologia ultranazionalista serba. Molti dei presunti “turisti della guerra” sarebbero infatti simpatizzanti dell’estrema destra, appassionati di armi e di caccia, che trovavano nel conflitto balcanico un’occasione per vivere una “esperienza adrenalinica” travestita da missione politica.

Sarajevo Safari

L’esposto di Gavazzeni cita anche il documentario “Sarajevo Safari” del regista Miran Zupanic, che aveva già rivelato la presenza di “cecchini stranieri paganti” durante l’assedio. Lo scrittore italiano, che ha consegnato alla magistratura le password per la visione riservata del film su Al Jazeera, parla apertamente di “uno dei capitoli più agghiaccianti della guerra nei Balcani”.

Mentre l’inchiesta milanese muove i primi passi, resta aperta una domanda che risuona anche a Torino: come è possibile che qualcuno, da una delle città più civili d’Europa, abbia potuto scegliere di partire per divertirsi a uccidere?

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Quotidiano Piemontese

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