Italiani d'America

  • Postato il 18 settembre 2024
  • Di Il Foglio
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Italiani d'America

Fra il 1876 e il 1915 sono oltre 14 milioni gli italiani che lasciano il paese in cerca di una sorte migliore; e per molti di loro la meta è “la Merica”, dove il benessere sembra un sogno a portata di mano. Attraverso una massa imponente di lettere, diari, pubblicazioni, inchieste, canzoni e svariati altri materiali, Avagliano e Palmieri ridanno voce a questo popolo sterminato. Ripercorriamo così, attraverso la voce di protagonisti e testimoni, tutte le fasi di un’epopea dalle mille sfaccettature.
 

Ci sono i momenti drammatici della partenza, lo strappo dagli affetti, il mondo spesso losco dei mediatori che sbandierano le meraviglie del Nuovo Mondo e lucrano sulle difficoltà e sull’ignoranza dei partenti. Ci sono le fatiche del viaggio in terza classe, “pigiati come le acciughe in un barile” in dormitori che sono “un ricettacolo di immondizia e sudiciume”, non di rado in balìa delle tempeste (che a volte hanno la meglio su bastimenti spesso malandati). C’è l’emozione dell’arrivo a “Neviorche”, il brivido davanti alla statua della libertà (che molti si chiedono se sia dedicata alla Madonna), l’ultima incertezza delle pratiche di ingresso, la disperazione di chi viene respinto. Poi comincia l’avventura. Bisogna trovare un lavoro. E sono quasi sempre i lavori più umili: pulire strade, lustrar scarpe, vendere frutta, i cantieri, le miniere, spesso in condizioni invivibili, non di rado vittime di incidenti mortali. Bisogna trovare un alloggio, il più delle volte in “un’angusta e lurida stamberga o, addirittura, in un vecchissimo tranvai fuori uso”.
 

Ma in mezzo a tante ombre ci sono anche tante luci. “Le paghe degli italiani sono spesso più basse di quelle dei colleghi di altre nazionalità, ma comunque assai più alte di quelle dell’Italia”. Molti “riescono a mettere rapidamente in atto iniziative imprenditoriali proprie, specie nella ristorazione e nei servizi”, e i prodotti italiani cominciano a diventare di moda per tutti. Così, l’ultimo capitolo è dedicato a storie di successo in tutti campi, dal commercio alla scienza, dallo sport alla politica. Quasi a compimento della profezia di un testo del 1904: “Oggi ci chiamano ‘dago’, oggi ci rimproverano la nostra poca pulizia, il frequente uso del coltello. Ma le centinaia di dollari messi da parte frugando nei bauli, o fabbricando sedie da lustrascarpe, o vendendo frutta col carretto, serviranno un giorno a educare i figli, a lanciarli in questo mondo americano dove noi, per essere giunti troppo tardi, non entreremo mai”.

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Autore
Il Foglio

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