Italia prima in Europa a riconoscere l’obesità come malattia cronica: “Una svolta epocale per la salute dei cittadini”

  • Postato il 2 ottobre 2025
  • Salute
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’Italia è il primo Paese in Europa a riconoscere l’obesità come malattia cronica, progressiva e recidivante, e le prestazioni assistenziali diventano parte integrante dei Livelli essenziali di assistenza (Lea). È il risultato di una storica approvazione al Senato che trasforma in legge il disegno n. 1483. Il nuovo quadro normativo prevede un programma nazionale per la prevenzione e la cura dell’obesità, l’istituzione di un Osservatorio ministeriale per lo studio della malattia, l’obbligo di formazione per medici e pediatri, e finanziamenti dedicati che partono da 700.000 euro per il 2025 fino a 1,2 milioni annui a regime.

Obesità: dati allarmanti

Il problema riguarda una fetta enorme della popolazione: in Italia 4 adulti su 10 sono in eccesso ponderale – 3 in sovrappeso e 1 obeso – con prevalenza maggiore al Sud, anche se il divario geografico si è ridotto negli ultimi 15 anni (dati Iss). Tra i bambini la situazione è ancora più preoccupante: 1 su 3 è obeso o in sovrappeso, con rischi precoci di diabete di tipo 2, ipertensione e patologie cardiovascolari. A livello globale, nel 2022 si stimavano 390 milioni di bambini e adolescenti (5-19 anni) e 37 milioni di under 5 in sovrappeso, per un totale di 427 milioni di minori coinvolti.

Per capire meglio le implicazioni pratiche di questa legge, abbiamo chiesto un parere all’endocrinologa Anna Maria Colao, già Presidente Sie (Società italiana di endocrinologia) e professore ordinario di Endocrinologia e malattie del metabolismo, cattedra Unesco di Educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile, università Federico II di Napoli, che ha fatto parte della commissione scientifica per l’elaborazione della proposta di legge sull’obesità.

Anna Maria Colao: “Una svolta epocale per la salute dei cittadini”

Professoressa Colao, qual è l’impatto clinico dell’inclusione dell’obesità nei Lea?

“È un cambio epocale. Fino a sei anni fa l’obesità non era neanche considerata una patologia, ma solo una condizione. Oggi abbiamo una legge che ci permette di affrontarla sia sul piano diagnostico sia terapeutico. L’obesità è associata a malattie croniche cardiovascolari, oncologiche e neurologiche. Il paziente con obesità non è un paziente unico: ci sono molte sfumature che richiedono personalizzazione delle cure, dalla genetica al metabolismo, fino allo stile di vita. Solo una diagnosi precisa permette di impostare terapie efficaci, comprese quelle farmacologiche innovative che agiscono sul senso della fame e sulla gratificazione legata al cibo”.

Quali prestazioni ritiene debbano essere prioritarie?

“Prima di tutto la personalizzazione. È fondamentale valutare composizione corporea, metabolismo, insulino-resistenza, infiammazione cronica e, se possibile, alcuni polimorfismi genetici che influenzano il cronotipo e quindi il rischio di obesità. In questo modo possiamo offrire terapie mirate e intervenire precocemente, prima che compaiano complicanze cardiovascolari o oncologiche”.

Supportare i pazienti più fragili

I fondi previsti dal piano nazionale (700.000 euro nel 2025, 800.000 nel 2026 e 1,2 milioni a regime) sono sufficienti?

“Sono numeri iniziali, certamente non coprono tutte le esigenze, ma rappresentano un punto di partenza serio. Consentiranno di supportare i pazienti più gravi e fragili, sia clinicamente sia socio-economicamente che non possono permettersi di acquistare i costosi farmaci impiegati per curare l’obesità. È un inizio, e finalmente lo Stato dà una risposta concreta”.

L’Osservatorio ministeriale sull’obesità come dovrebbe funzionare?

!Oltre a peso e altezza, dovrebbe monitorare composizione corporea, fenotipi, quadro metabolico, infiammazione, e alcuni marker oncologici. L’obiettivo è creare una profilazione completa che permetta di indirizzare le terapie in modo personalizzato e studiare l’epidemiologia dell’obesità su base nazionale”.

Rischio disuguaglianze tra Regioni

La legge garantisce uniformità territoriale?

“Il rischio di differenze regionali esiste, perché le Regioni più ricche potrebbero fare meglio di quelle meno dotate. Il Governo dovrà supportare le regioni in difficoltà economica per ridurre le disuguaglianze. È chiaro che la legge da sola non risolve tutto, ma rappresenta un passo storico: affrontiamo finalmente una vera pandemia del nostro secolo”.

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Il Fatto Quotidiano

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