Italia, il Paese delle fortune invertite: chi è in cima alla piramide si arricchisce, la metà che ha meno sta sempre peggio. “E le misure del governo peggiorano il quadro”
- Postato il 20 gennaio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un Paese in cui i divari di ricchezza si allargano, i redditi reali calano affossati dall’inflazione, l’occupazione sale ma resta ben sotto le medie europee e va a braccetto con una continua discesa dei salari rispetto ai prezzi. Mentre il governo resta inerte su salario minimo e supporto alla contrattazione collettiva e stanzia risorse insufficienti per il rinnovo dei contratti pubblici. In prospettiva, poi, il progetto dell’autonomia differenziata minaccia di ampliare le disuguaglianze e affossare definitivamente la sanità nel Mezzogiorno. Oxfam, nel Rapporto Disuguitalia pubblicato come ogni anno nel giorno di apertura dei lavori del Forum economico mondiale di Davos, rimette in fila dati e analisi sugli squilibri che spaccano l’Italia. E che dipendono dalle scelte della politica: anche nel suo secondo anno di vita il governo Meloni ha lasciato irrisolti o addirittura peggiorato i problemi. Per uscirne bisognerebbe invertire la rotta, a partire dal contrasto al lavoro povero e dal varo di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni.
Il Paese delle fortune invertite – Le ultime stime, aggiornate a metà 2024, mostrano che il 10% più ricco della popolazione possiede i tre quinti della ricchezza netta e 8 volte la ricchezza della metà più povera: a fine 2010, primo anno della serie storica di Bankitalia, la quota si fermava al 6,3%. Negli ultimi 14 anni, insomma, il fenomeno dell’inversione delle fortune è diventato sempre più evidente, con la quota del top 10% passata dal 52,5 al 59,7% e quella del 50% più povero scesa dall’8,3% al 7,4%. Uno studio sulla ricchezza netta individuale ha confermato una drastica riduzione delle risorse in mano alla metà del Paese che sta peggio: un calo più marcato di quelli registrati in Germania, Francia, Spagna e pure negli Usa. I miliardari italiani della lista di Forbes in soli 12 mesi – tra 30 novembre 2023 e 30 novembre 2024 – hanno visto crescere le proprie fortune di addirittura 61,1 miliardi, a 272,5, anche grazie al fatto che riescono a investire in asset con rendimenti ben superiori a quelli che riescono a spuntare i comuni mortali. Da notare comunque che il 63% di quella montagna di soldi è frutto di eredità (del resto tutti i miliardari sotto i 30 anni hanno ricevuto la propria ricchezza dai genitori). Quanto ai milionari, secondo Ubs entro il 2028 saliranno dagli attuali 1,3 milioni a 1,46 milioni.
Redditi reali sotto il livello del 2007 – Sul fronte delle disuguaglianze di reddito va meno peggio. Ma il bicchiere, sottolinea il report scritto dal policy advisor di Oxfam Italia sulla giustizia economica Mikhail Maslennikov, resta mezzo vuoto. Innanzitutto, va considerato che complice la fiammata inflazionistica seguita al Covid e all’invasione russa dell’Ucraina i redditi reali delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli del 2007, prima della grande crisi finanziaria. Il confronto 2007-2022 fa segnare un -7,2%, media tra i forti cali di autonomi e dipendenti e i piccoli incrementi andati ai titolari di pensioni e trasferimenti pubblici. Quanto ai divari, tra 2021 e 2022 la distanza tra gli introiti del 20% che guadagna di più e del 20% che guadagna meno è lievemente diminuita ma l’Italia è comunque al ventesimo posto in Ue per disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. In questo quadro l’incidenza della povertà assoluta, che tra 2014 e 2023 è salita tra gli individui dal 6,9 al 9,8%, è esplosa tra i lavoratori dipendenti e in particolare per gli operai mentre è scesa per imprenditori e liveri professionisti.
Mercato del lavoro in chiaroscuro – Il mercato del lavoro, come la premier Giorgia Meloni non manca mai di rivendicare, dà segnali incoraggianti sul fronte dell’occupazione, un trend che va avanti dal post Covid. Ma il Sud resta molto indietro e il divario tra tasso di occupazione italiano e media Ue continua a viaggiare intorno all’8-9%, complici gli storici ritardi nell’inserimento delle donne e dei giovani. A proposito: se si guarda appena sotto la superficie dei dati lordi si scopre che il saldo positivo dipende unicamente dall‘aumento degli occupati over 50, mentre quelli tra 15 e 34 anni sono diminuiti addirittura di 2 milioni tra 2004 e 2023. Se invecchiamento e denatalità pesano sul medio termine, già guardando al futuro prossimo il calo della produzione industriale per 22 mesi consecutivi e il rallentamento dell’export fanno temere un ripiegamento, avverte il rapporto. Che mette anche in guardia sulla necessità di fare i conti di bisogni e aspirazioni dei più giovani, sempre meno propensi a mettere il lavoro in cima alla propria scala di valori. Il livello degli stipendi non aiuta.
Working poor e divari retributivi – Il salario medio annuale in termini reali negli ultimi trent’anni, come è noto, è rimasto al palo. I ritardi dei rinnovi contrattuali e la frammentazione della contrattazione collettiva rendono inefficaci i meccanismi di adeguamento alla crescita dei prezzi. Decontribuzione e riforma Irpef, insieme alla crescita dell’indice delle retribuzioni contrattuali, non sono bastati a colmare il gap tra retribuzioni nette e inflazione. Il tutto in un Paese in cui nel 2022 – ultimo anno per cui abbiamo i dati – poco meno del 30% dei lavori dipendenti (tra cui ovviamente molti impiegati part time) faceva parte della platea che l’Istat considera a bassa retribuzione. Non solo: le politiche del lavoro degli ultimi tre decenni hanno creato “trappole della precarietà” che alimentano le disparità salariali. Risultato: la disuguaglianza nelle retribuzioni annuali è continuamente aumentata.
Il governo non combatte le disuguaglianze – Le azioni del governo Meloni, è la diagnosi di Oxfam, non hanno fatto nulla per ridurre i divari. La delega fiscale, che tra l’altro conferma e amplia l’iniqua flat tax e gli altri regimi cedolari, non tenta nemmeno di aumentare l’efficienza e l’equità di un sistema sempre più frammentato e in cui oggi il 7% più ricco paga in proporzione meno imposte sul reddito rispetto a chi fatica ad arrivare a fine mese. Il bonus fiscale e l’incremento delle detrazioni da lavoro dipendente con cui la legge di Bilancio 2025 ha sostituito il taglio del cuneo contributivo riducono la coerenza del sistema di tassazione e creano nuove distorsioni. L’estensione della detassazione dei fringe benefit a spese della collettività va a vantaggio di pochissimi. L’Assegno di inclusione che ha sostituto il reddito di cittadinanza, facendo dell’Italia l’unico Paese Ue senza un sostegno universale al reddito per i cittadini in difficoltà, stando agli ultimi dati raggiunge il 37% di famiglie in meno. E il Supporto formazione lavoro riservato ai teoricamente “occupabili” è stato un flop annunciato. In legge di Bilancio il governo ha di fatto ammesso il fallimento rivedendo requisiti di accesso e importi.
Sul fronte del lavoro, per limitarsi a un florilegio, i vincoli ai contratti a termine sono stati allentati, è stata ampliata la possibilità di ricorso ai contratti di somministrazione, sono stati eliminati i paletti al ricorso ai contratti stagionali e liberalizzati i contratti “misti” (per metà subordinati, per metà a partita Iva). Ciliegina sulla torta, è stata indebolita la protezione dei lavoratori dai licenziamenti mascherati da dimissioni. “Una chiara politica industriale, orientata alla creazione di buona occupazione, resta del tutto assente”, aggiunge Maslennikov, che stigmatizza anche “l’immobilismo sul rafforzamento della contrattazione collettiva e sulla revisione del sistema di fissazione dei salari” e “l’affossamento del salario minimo legale come tutela dei lavoratori più fragili e meno protetti”. Un combinato disposto che “ischia di esasperare ulteriormente saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa”.
Infine la legge sull’autonomia differenziata – in parte svuotata dalla Consulta e su cui ora pende la possibilità di un referendum – mette intanto a repentaglio l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso ai servizi pubblici, ricorda Oxfam. Il presidente della fondazione Gimbe Nino Cartabellotta, interpellato nel rapporto, avvisa che la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni non sarà sufficiente a garantire standard uguali su tutto il territorio. Ed è convinto che la legge Calderoli “darà il colpo di grazia al Ssn”.
Le raccomandazioni di Oxfam – La ricca ricetta proposta da Oxfam viaggia su binari del tutto diversi. Per contrastare le disuguaglianze raccomanda innanzitutto di tornare a garantire misure di contrasto alla povertà universali, disincentivare i contratti non standard, promuovere un accordo tra le parti sociali sui criteri di misurazione della rappresentatività sindacale e datoriale o definirla per legge, introdurre un salario minimo legale indicizzato all’inflazione, condizionare gli incentivi alle imprese a parametri come il rinnovo dei contratti collettivi scaduti e la condivisione dei benefici che derivano dalle attività finanziate dallo Stato. In campo fiscale l’indicazione è quella di rendere il sistema più equo anche introducendo un’imposta progressiva sui grandi patrimoni a carico dello 0,1% più ricco che si applicherebbe alla ricchezza personale netta superiore a 5,4 milioni di euro, ipotesi condivisa dalla maggior parte degli italiani stando a un sondaggio promosso dal Fatto insieme a Oxfam. In parallelo occorre aumentare il prelievo sulle grandi successioni, rafforzare la cooperazione internazionale in materia fiscale e prevedere forme di exit tax per contrastare gli “espatri fiscali”. Ovviamente l’ong sostiene una serrata lotta all’evasione, è contraria ai condoni e ritiene che vada rivisto il prelievo sugli immobili, partendo dall’aggiornamento del catasto. La legge sull’autonomia differenziata? Da abolire. Per quanto riguarda il ruolo internazionale dell’Italia, che Meloni vanta di aver rafforzato, per Oxfam le priorità sono supportare interventi di riduzione e cancellazione del debito dei Paesi poveri, aumentare i fondi per l’aiuto allo sviluppo, rafforzare la direttiva Ue che impone alle grandi imprese di prevenire e rimediare agli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente delle proprie attività e di quelle di tutta la filiera. Infine, supportare la creazione di uno standard globale di tassazione della grande ricchezza: se ne è discusso al G20 e alle Nazioni Unite è stata proposta una Convenzione quadro che riscriva le regole fiscali globali in modo che non avvantaggino solo i Paesi ricchi.
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