Israele sfida la Corte penale internazionale: chiesta la rimozione del procuratore capo Karim Khan

  • Postato il 21 novembre 2025
  • Di Panorama
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Israele ha formalmente chiesto alla Corte penale internazionale di bloccare il mandato d’arresto emesso contro il premier Benjamin Netanyahu e di rimuovere il procuratore capo Karim Khan dal dossier, sostenendo che la sua condotta potrebbe essere stata condizionata dalle accuse di violenza sessuale a suo carico emerse nelle stesse settimane in cui avanzò la richiesta di cattura.Nel documento depositato mercoledì, lo Stato ebraico sostiene che la decisione di Khan, risalente al maggio 2024, potrebbe essere stata influenzata dalle pressioni generate dalle accuse mosse da una sua collaboratrice pochi giorni prima. Secondo la ricostruzione citata da un’inchiesta del Wall Street Journal, l’allora procuratore avrebbe potuto accelerare la procedura sui mandati per allontanare l’attenzione dalle accuse o scoraggiare la donna dal proseguire. Israele ipotizza anche che Khan abbia cercato successivamente di presentare quelle stesse accuse come un tentativo di sabotare l’attività della Corte e, nello specifico, le indagini sul comportamento israeliano nel conflitto di Gaza.

Khan era atteso a Gerusalemme e nella Striscia la settimana del 27 maggio 2024 per una serie di colloqui legati all’inchiesta sulla condotta delle forze israeliane. Ma la visita fu annullata all’improvviso il 19 maggio. Ventiquattr’ore dopo, il procuratore annunciò l’intenzione di richiedere mandati di arresto contro Netanyahu e l’allora ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Secondo il testo israeliano, tale tempistica indicherebbe una “presentazione affrettata” delle richieste, presumibilmente dettata dalla necessità di reagire allo scandalo emergente.

Khan ha sempre respinto qualunque addebito, sostenendo che le richieste di mandato poggiavano su un impianto probatorio solido. I giudici della Corte hanno poi convalidato i mandati nel novembre 2024. I legali del procuratore non hanno rilasciato commenti immediati, mentre lui ha inquadrato le accuse come parte di un tentativo più ampio di minare la credibilità della CPI, istituzione che nel corso degli anni si è scontrata più volte con grandi potenze come Stati Uniti e Russia, entrambe non aderenti allo Statuto di Roma. Neppure Israele è parte del trattato.

La mossa israeliana si inserisce in un contesto che ha già esposto la Corte a una tempesta politica senza precedenti nei suoi 23 anni di attività. L’amministrazione Trump aveva imposto sanzioni a Khan e ad altri funzionari in risposta ai mandati d’arresto, mentre diversi governi europei, storicamente tra i più fermi sostenitori della Corte, hanno manifestato dubbi sull’eventuale esecuzione dei provvedimenti qualora Netanyahu dovesse recarsi nei loro Paesi. Una situazione che ha messo in discussione l’autorità stessa dell’istituzione.

Nel frattempo, le Nazioni Unite stanno portando avanti un’indagine interna sulle accuse di violenza sessuale rivolte a Khan, con un rapporto atteso nei prossimi mesi. Secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, il procuratore avrebbe menzionato l’indagine su Netanyahu e Gallant direttamente alla sua accusatrice, esortandola a ritrattare. In una registrazione ora acquisita dagli investigatori dell’ONU, Khan avrebbe sostenuto che le sue accuse avrebbero rischiato di rallentare “la giustizia delle vittime che stanno per ottenere risultati”, citando esplicitamente “i mandati palestinesi”.

La donna, nella testimonianza consegnata agli inquirenti delle Nazioni Unite, afferma che Khan l’avrebbe costretta più volte a rapporti sessuali nella sua abitazione all’Aia e durante viaggi di lavoro. È proprio questo elemento – ricorda il dossier israeliano – a innescare il nodo giuridico principale: lo Statuto di Roma prevede infatti che il semplice dubbio sull’imparzialità di un procuratore costituisca motivo sufficiente per escluderlo da un procedimento.Non è un principio astratto. Appena un mese fa, i giudici della CPI hanno rimosso Khan dal caso che riguarda l’ex presidente filippino Rodrigo Duterte, consegnato alla Corte nel 2024 con l’accusa di essere responsabile di migliaia di esecuzioni extragiudiziali nella sua “guerra alla droga”. La motivazione: Khan, in passato, aveva rappresentato alcune vittime nelle prime fasi dell’indagine, minando l’apparenza di neutralità. Duterte nega ogni responsabilità. Israele sostiene che lo stesso criterio debba applicarsi anche nel procedimento che lo riguarda: “L’eventuale parzialità del Procuratore non dipende dalla veridicità o dalla falsità delle accuse di violenza sessuale”, recita il memoriale. “Ciò che conta è se la sua apparente imparzialità possa essere ragionevolmente messa in discussione”. Una posizione destinata a riaccendere il conflitto diplomatico attorno alla Corte, in un momento in cui la sua credibilità è già sotto pressione come mai prima.

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Panorama

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