Israele non si ferma. A Gaza è caccia all’ultimo comandante (ad ogni costo)

  • Postato il 18 settembre 2025
  • Di Panorama
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Secondo quanto riferisce Israel Hayom, l’operazione «Gideon’s Chariots II» lanciata martedì dalle Forze di Difesa israeliane ha tra i suoi obbiettivi principali Ezz El-Din al-Haddad, descritto come «l’ultimo comandante di Hamas a Gaza». Il leader jihadista, considerato oggi il capo dell’ala militare del movimento, si sarebbe rintanato nei tunnel insieme a migliaia di combattenti, continuando a sfuggire alla caccia israeliana. Dall’inizio della guerra, infatti, è sopravvissuto a sei tentativi di assassinio, tre dei quali condotti nelle ultime settimane.

Al-Haddad non è una figura qualunque. All’inizio del conflitto guidava la Brigata di Gaza City, composta da sei battaglioni con circa seimila miliziani, ed era parte del ristretto comitato che decise l’attacco del 7 ottobre, il massacro che ha cambiato il corso della guerra. Dopo l’eliminazione di figure storiche come Mohammed Deif, Marwan Issa e Mohammed Sinwar, la sua ascesa è stata inevitabile: oggi è l’uomo che prende le decisioni sulla difesa dei tunnel, sulla sorte degli ostaggi e sulla pianificazione delle offensive. Lo affiancano Ra’ed Sa’ad e Mohammed Awda, responsabili della produzione bellica e dell’intelligence, a conferma di come il suo comando non sia soltanto operativo, ma strategico.

Israele lo considera un obiettivo prioritario. Sulla sua testa pende una taglia di 750.000 dollari, e la sua capacità di eludere i raid è diventata quasi leggendaria. Il quotidiano britannico The Times ha rivelato che cambia costantemente residenza e si fida solo di pochissimi collaboratori. Due dei suoi figli, anch’essi combattenti, sono stati uccisi in battaglia, ma questo non ne ha incrinato l’autorità. In un’intervista concessa a media arabi a gennaio, ha ammesso che Teheran e Hezbollah erano stati informati «del quadro generale» del 7 ottobre 2023 , pur precisando che l’ora dell’attacco era stata condivisa solo con un gruppo ristrettissimo. Israele afferma di aver già eliminato almeno quattro dei suoi comandanti di battaglione, ma il nucleo operativo rimane solido.

Dopo la morte di Ahmed Ghandour, comandante della brigata del nord della Striscia, anche quella regione è passata sotto il suo controllo diretto. La sua influenza si estende oggi a gran parte dei miliziani superstiti, che vedono in lui il nuovo punto di riferimento. Volantini diffusi dalle IDF, e confermati dal portavoce Avichay Adraee, lo mostrano con un nuovo volto nei tunnel di Khan Younis. È diventato il simbolo della sopravvivenza di Hamas sotto assedio, una figura che incarna la resistenza ma anche la precarietà di un’organizzazione ormai decimata.

Un dettaglio significativo è stato rivelato dal Wall Street Journal: un ostaggio israeliano liberato ha raccontato di averlo incontrato cinque volte durante la prigionia, arrivando persino a dormire nella stessa casa sicura. In una di queste occasioni, nel marzo 2024, al-Haddad avrebbe parlato in ebraico, chiedendo agli ostaggi come stessero, e mostrando sul suo smartphone fotografie di altri prigionieri, a riprova del suo ruolo di supervisore. Per Israele, eliminarlo significherebbe non solo privare Hamas del suo ultimo comandante sul campo, ma inviare un messaggio forte al movimento e ai suoi sostenitori regionali.

Mentre Tsahal intensifica i bombardamenti su Gaza City e sulle zone ancora sotto il controllo delle Brigate Qassam, la diplomazia internazionale lavora su un fronte parallelo. Secondo il Times of Israel, il presidente statunitense Donald Trump ha dato mandato all’ex premier britannico Tony Blair di coordinare le parti regionali e internazionali attorno a una proposta per il futuro della Striscia di Gaza. Blair, che conosce a fondo la complessità del dossier mediorientale, ha iniziato a elaborare questa iniziativa nei primi mesi della guerra come un’amministrazione provvisoria, ma la proposta si è trasformata in qualcosa di più: un piano per fermare la guerra stessa.

Secondo fonti americane, la Casa Bianca è convinta che la definizione di un organismo di transizione per Gaza sia la chiave per ottenere un cessate il fuoco stabile e la liberazione degli ostaggi. Senza un accordo chiaro su chi governerà la Striscia «il giorno dopo», sostengono, il conflitto rischia di non avere sbocchi. Tony Blair, già coinvolto a fine agosto in una sessione politica alla Casa Bianca, ha intensificato i contatti con Egitto, Arabia Saudita e Qatar, nella convinzione che solo un’alleanza internazionale possa garantire la stabilità. Il piano prevede la creazione di un organismo di transizione sostenuto dagli Stati Uniti e da partner europei, con la partecipazione di Paesi arabi moderati. L’obiettivo è impedire il ritorno di Hamas, garantire la sicurezza a Israele e avviare un percorso graduale verso la riconsegna della Striscia all’Autorità Palestinese. Non è un’operazione semplice: la credibilità dell’organismo dipenderà dal sostegno degli attori regionali e dalla capacità di imporre un quadro di sicurezza duraturo.

«Serve un meccanismo che liberi gli ostaggi e che offra garanzie alla popolazione di Gaza», ha spiegato un funzionario statunitense. In altre parole, la cattura o l’eliminazione di al-Haddad e la costruzione di un’alternativa politica non sono due percorsi separati, ma parti della stessa strategia. Israele vuole chiudere il capitolo Hamas sul terreno, mentre gli Stati Uniti e i loro alleati cercano di scrivere le regole del dopo. Così, mentre al-Haddad rimane nascosto nei tunnel e continua a rappresentare l’enigma militare della Striscia, la diplomazia internazionale tenta di delineare un futuro senza Hamas. La caccia all’«ultimo comandante» e il piano di transizione sono le due facce di una stessa partita, che determinerà non solo l’esito della guerra ma anche il destino politico di Gaza nei prossimi anni.

Autore
Panorama

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