Israele-Iran, petrolio in salita con lo spettro della chiusura dello stretto di Hormuz: una manna per Mosca
- Postato il 14 giugno 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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L’impennata dei prezzi del petrolio dopo gli attacchi di Israele contro l’Iran e la risposta di Teheran è un’ottima notizia per Vladimir Putin. L‘economia russa stava infatti iniziando a rallentare causa ingenti spese belliche associate negli ultimi mesi a un calo dei ricavi da idrocarburi. Ma ora i proventi dall’export di greggio, la principale fonte di entrate per Mosca, promettono di conoscere una nuova impennata. Soprattutto se l’Iran, come ipotizzano i media locali citando le dichiarazioni di Esmail Kosari, membro della commissione sicurezza del parlamento iraniano, decidesse davvero di chiudere lo Stretto di Hormuz, il principale snodo mondiale per il traffico petrolifero.
Solo pochi giorni fa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l’Alto rappresentante per la politica estera europea Kaja Kallas avevano anticipato di aver proposto un diciottesimo pacchetto di sanzioni che avrebbe compreso la riduzione del tetto al prezzo del petrolio russo da 60 a 45 dollari al barile. Una misura probabilmente inefficace come le precedenti, vista la facilità con cui Mosca ha aggirato le limitazioni grazie alla sua flotta di petroliere ombra immatricolate in permissivi paesi terzi, per lo più mediorientali.
Ora l’aumento delle quotazioni oltre i 70 dollari al barile, che fa temere un ritorno delle pressioni inflazionistiche e un ulteriore rallentamento della crescita globale, ribalta lo scenario. Se l’Iran decidesse di chiudere o limitare il traffico attraverso lo stretto di Hormuz da cui passa il 20-30 % del petrolio mondiale via mare, il prezzo potrebbe salire sopra i 100-120 dollari al barile. Mosca, che a gennaio ha firmato con Teheran un trattato di partenariato strategico, festeggia: con esportazioni stimate in 4 milioni di barili al giorno è sufficiente un aumento dei prezzi di 5 dollari al barile per garantirle ricavi aggiunti per oltre 7 miliardi l’anno, che salirebbero a 22 in caso di aumento di 15 dollari al barile.
A soffrire sarebbero gli acquirenti: Cina e India, verso cui sono state dirottate molte spedizioni, ma anche Stati europei. Nonostante le sanzioni seguite all’invasione dell’Ucraina e l’obiettivo dichiarato dalla Commissione Ue di ridurre l’import dalla Russia fino ad azzerarlo, Ungheria e Slovacchia continuano a comprare grande quantità di greggio russo e anche altri Paesi acquistano da raffinerie al di fuori dall’Unione che poi re-immettono i prodotti raffinati in Europa.
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