Israele impone la scadenza per la restituzione dei corpi: Hamas non consegna, nuova tensione nella Striscia
- Postato il 14 ottobre 2025
- Di Panorama
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Israele ha fissato per oggi il termine ultimo entro cui Hamas dovrà restituire i corpi dei ventiquattro ostaggi morti nella Striscia di Gaza dopo il sequestro del 7 ottobre 2023. L’emittente Kan riferisce che, secondo Israele, il movimento islamista è ancora in possesso di tutte le salme previste dall’accordo di pace, ma non ha rispettato la consegna. I mediatori avevano segnalato che il ritardo sarebbe legato alle difficoltà di recuperare i resti, molti dei quali sepolti sotto le macerie dei bombardamenti israeliani. Una fonte vicina ai negoziati ha spiegato che «sono in corso valutazioni sulle opzioni di risposta» alla mancata restituzione da parte di Hamas. Un diplomatico arabo di uno dei Paesi mediatori ha assicurato che «i contatti proseguono» e che «l’intesa promossa da Donald Trump per Gaza non appare in pericolo».
Durante un incontro con la stampa, Donald Trump ha risposto a una domanda sul possibile ruolo di Hamas nella futura forza di polizia palestinese: «Abbiamo dato loro l’approvazione per un periodo di tempo», ha detto il presidente americano. «Hanno espresso la volontà di risolvere i problemi e lo hanno dichiarato apertamente. Penso che andrà tutto bene», ha aggiunto. Intanto, l’operazione di rilascio dei detenuti palestinesi è ormai alla fase finale. I trasferimenti, già avviati, prevedono una tappa intermedia nelle carceri di Ketziot e Ofer, dove vengono ultimate le pratiche di scarcerazione. In totale saranno liberati 250 ergastolani: 63 appartenenti a Hamas, 159 ad al-Fatah e gli altri a gruppi minori. Quindici rientreranno a Gerusalemme Est, un centinaio in Cisgiordania, mentre 135 saranno espulsi in Paesi terzi — tra cui Malesia, Stati arabi e alcune nazioni africane — che hanno accettato di accoglierli.
A questi si aggiungono 1.722 palestinesi detenuti dopo il 7 ottobre ma non coinvolti direttamente nei massacri. Tra i nomi più noti figura Baher Badr, condannato a undici ergastoli per un attentato contro una fermata di autobus che provocò otto vittime. Saranno liberati anche Morad Bader Abdullah Adais, che a sedici anni assassinò con un coltello l’infermiera israeliana Dafna Meir davanti ai figli; Nabil Abu Khdir, che uccise la sorella accusandola di collaborare con lo Shin Bet; Muhammad Daoud, che bruciò viva una donna incinta insieme al figlio; e Ahmed Kaabna, autore nel 1997 dell’uccisione di due ragazzi in fuga. Tra i detenuti in via di rilascio figurano inoltre Mahmoud Moussa Issa, coinvolto nel sequestro e nell’omicidio dell’agente Nissim Toledano nel 1992; Ahmad Jamal Ahmad Qanba, che nel 2018 assassinò il rabbino Raziel Shevach; Iyad al-Rub, dirigente della Jihad islamica e organizzatore di un attentato suicida a Hadera; e Mahmoud Atallah, accusato di aver violentato due soldatesse carcerarie. Restano esclusi dai negoziati Marwan e Abdullah Barghouti e Ahmed Saadat, leader considerati simbolici per la causa palestinese.
Non saranno invece restituiti i corpi di Yahya e Mohammad Sinwar, fratelli e capi storici di Hamas, uccisi tra l’ottobre 2024 e il maggio 2025. Yahya Sinwar, condannato a quattro ergastoli, fu rilasciato nel 2011 nello scambio con cui Israele ottenne la liberazione del soldato Gilad Shalit. Mentre lo scambio di prigionieri procede, Gaza torna ad essere teatro di violenze interne. Almeno ventisette persone hanno perso la vita negli scontri tra miliziani di Hamas e gli uomini armati del clan Dughmush, una delle famiglie più influenti dell’enclave. Secondo testimoni locali, unità mascherate e pesantemente armate di Hamas hanno circondato la roccaforte dei Dughmush nei pressi dell’ex ospedale giordano di Gaza City, scatenando una battaglia che ha devastato la zona meridionale della città.
Un alto funzionario del ministero degli Interni di Hamas ha spiegato che l’operazione era diretta contro una milizia ribelle e che otto membri delle forze di sicurezza del movimento sono rimasti uccisi. Le fonti mediche parlano di diciannove vittime tra i Dughmush e confermano che i combattimenti, iniziati a Tel al-Hawa, hanno costretto decine di famiglie alla fuga. «Questa volta la gente non scappava dalle bombe israeliane, ma dalla propria gente», racconta un abitante. Il ministero degli Interni di Hamas ha dichiarato di voler ristabilire l’ordine, avvertendo che «qualsiasi attività armata al di fuori del quadro della resistenza sarà punita con fermezza». Le versioni sull’origine del conflitto divergono: Hamas sostiene che i Dughmush abbiano ucciso due suoi combattenti, mentre la famiglia accusa il movimento di aver tentato di sfrattarli da un edificio per trasformarlo in una base militare. Secondo fonti locali, Hamas ha richiamato fino a settemila uomini delle proprie forze di sicurezza per riaffermare il controllo sui quartieri abbandonati dopo il ritiro israeliano. Pattuglie armate — che il gruppo non intende disarmare — sono state avvistate in diversi distretti di Gaza City, alcune in borghese, altre con le uniformi blu della polizia. Per Hamas, la tregua rappresenta una pausa tattica e un mezzo di sopravvivenza politica. Pur avendo perso parte dei propri alleati e capacità militari, in assenza di una reale Autorità nazionale palestinese il movimento resta l’unico potere effettivo nella Striscia. Pensare a un suo disarmo limitato a Gaza appare, di fatto, un’illusione.