Israele, il governo avvia scavi nell’antica Sebastia. “Usano l’archeologia per prendersi la Cisgiordania”

  • Postato il 16 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Quando si scava qui, si tocca la Bibbia con le proprie mani”. Yossi Dagan è il presidente del Consiglio Regionale. Le parole che sceglie per salutare l’avvio dei lavori sono il manifesto del progetto di Tel Aviv. Lunedì la Israeli Civil Administration e il ministero del Patrimonio hanno annunciato l’inizio degli scavi nel sito archeologico di Sebastia, pochi km a nord ovest di Nablus nei Territori occupati. Gli israeliani lo chiamano “Parco Nazionale di Shomron”, Samaria, nome con cui insieme a quello di Giudea indicano tutta la terra di Israele compresi i Territori. Accanto ai resti antichi, un antico villaggio porta lo stesso nome. In base agli Accordi di Oslo II del 1995 quest’ultimo si trova in Area B, sotto il controllo civile palestinese. Le rovine più importanti, invece, sorgono nell’Area C, che ricade sotto la giurisdizione israeliana. Ora, dicono le associazioni locali, con i nuovi scavi Tel Aviv vuole prendersi tutto.

Sebastia è una macchina del tempo. L’acropoli e la città contengono edifici risalenti all’età del Ferro e alle epoche assira, persiana, ellenistica, romana, bizantina, crociata, mamelucca e ottomana. Tutto il Medio Oriente è concentrato in questo fazzoletto di terra per il quale nel 2012 lo Stato di Palestina ha chiesto la protezione dell’Unesco e che Tel Aviv ora vuole trasformare in un polo turistico. “E’ uno dei siti più importanti del nostro patrimonio nazionale e storico – ha detto martedì il ministro del Patrimonio Amihai Eliyahu -. Il nostro obiettivo è dare nuova vita al sito e trasformarlo in un polo di attrazione per centinaia di migliaia di visitatori ogni anno”. Il budget di 32 milioni di shekel, quasi 9 milioni di euro, stanziato nel 2023 servirà per costruire un centro visitatori, una nuova strada di accesso al posto di quella che oggi attraversa il villaggio nell’Area B e trasformare l’intero sito in un’area a pagamento.

Il governo si muove anche alla Knesset, dove un disegno di legge punta a estendere la legislazione israeliana anche ai siti archeologici della Cisgiordania. Oggi le antichità nell’Area C sono gestite dall’Ufficiale di Stato Maggiore per l’Archeologia (SOA) all’interno della Israeli Civil Administration, che opera in base alla Legge Giordana sulle Antichità del 1966 (all’epoca Amman aveva giurisdizione sul West Bank), ancora in vigore e base giuridica per gli scavi nei Territori occupati. A luglio 2024, il governo ha deciso di estendere la giurisdizione del SOA anche all’Area B in violazione degli Accordi di Oslo e la proposta di legge mira a trasferire la gestione dal SOA, organismo militare, all’Amministrazione civile, sostituendo così la legge giordana con quella israeliana. Questo perché, dicono gli autori della legge, le antichità presenti nel West Bank “non hanno alcun legame storico o di altro tipo con l’Autorità palestinese”.

Il punto della questione, infatti, è culturale. “Nei piani di Israele l’annessione della Cisgiordania e la cancellazione della cultura palestinese passano anche dall’archeologia”, spiega al Fatto Talya Ezrahi, coordinatrice delle attività internazionali di Emek Shaveh, associazione israeliana che lavora “per difendere i diritti del patrimonio culturale e proteggere i siti antichi come beni pubblici appartenenti a membri di tutte le comunità, fedi e popoli”. “Non c’è dubbio che Sebastia debba essere oggetto di scavi e conservazione – spiega -. Tuttavia in un territorio occupato la potenza occupante è obbligata in base al diritto internazionale a mantenere e preservare i siti antichi a beneficio della popolazione locale. Ma non è quello che sta avvenendo. Lo scopo di questi scavi è trasformare il sito in un’attrazione turistica che valorizzi l’appartenenza ebraica dei resti e separi la comunità palestinese dalla propria terra”.

Quello di Sebastia non sarebbe il solo caso. “La stessa cosa accade nella Città di Davide nel quartiere palestinese di Silwan, a Gerusalemme est – prosegue Ezrahi -. Da quasi 25 anni il sito è gestito dalla Fondazione Elad, un’organizzazione di coloni arrivata a Silwan nei primi anni ’90. Lo scavo e lo sviluppo dell’area sono modellati sull’agenda di Elad, che stabilisce un legame diretto tra le antiche comunità ebraiche e le famiglie di coloni che oggi si trasferiscono nel quartiere. Così il sito funziona sia per legittimare la sovranità ebraico-israeliana sui siti antichi, sia per giustificare la confisca di terre ai palestinesi e la loro annessione al parco archeologico”. Qualcosa di simile accade in Cisgiordania. “A Tel Shiloh, sito associato alla storia biblica del Tabernacolo, la terra apparteneva ai palestinesi. Ora fa parte di un insediamento ebraico ed è stata trasformata in una sorta di Disneyland biblica“. Questo accade “da almeno due decenni. Ma negli ultimi sei anni gli sforzi per usare i siti archeologici per giustificare gli insediamenti in Cisgiordania sono stati portati a un livello completamente diverso”.

Tel Aviv accusa le comunità palestinesi di non essere in grado di conservare le antichità. “Il saccheggio e la distruzione delle antichità in Cisgiordania è un problema – conferma Ezrahi -. Le ragioni sono diverse. La prima è che Israele è l’unico paese della regione in cui il commercio di antichità è legale. Ciò significa che molti reperti frutto di saccheggio finiscono sul mercato israeliano. Questo commercio non sarebbe possibile senza la cooperazione di palestinese e israeliani”. Inoltre “i siti archeologici nelle zone di conflitto sono spesso oggetto di distruzione. In questo momento, il governo israeliano sta sostenendo un avamposto di coloni nel bel mezzo del sito di Battir, a ovest di Betlemme, dichiarato Patrimonio Unesco. L’insediamento si sta espandendo e, nel frattempo, antichi terrazzi e ulivi vengono distrutti e sradicati. In più a metà 2024 è emerso il progetto di un nuovo insediamento nella stessa area. Se andasse avanti, causerebbe danni irreversibili al sito”.

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