Israele contro gli Houthi: una nuova base navale in Somaliland per difendere il Mar Rosso

  • Postato il 21 aprile 2025
  • Di Panorama
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Gli Houthi restano un pericoloso alleato dell’Iran, capace di colpire Israele e tutte le navi che navigano verso Suez attraverso il Golfo di Aden e lo stretto di Bab el Mandeb. Da quando i ribelli dello Yemen hanno dichiarato guerra a Tel Aviv e all’Occidente, il Mar Rosso è diventato un fronte più che mai aperto. Ma qui si giocano soprattutto gli equilibri geopolitici fra Stati Uniti e Cina. Nello stretto passaggio, dove Africa e Asia quasi si toccano, hanno aperto basi oltre a Pechino e Wahington, Giappone, Regno Unito, Italia e naturalmente gli storici colonizzatori francesi.
Questo fondamentale braccio di mare che collega l’Oceano Indiano al Mediterraneo è determinante per le economie di molti Stati a cominciare dall’Egitto. I proventi del passaggio delle navi dal Canale di Suez pesano infatti il 2,5 per cento del Pil del Cairo, ma influisce su gran parte dell’economia marittima del Mediterraneo. I numeri dicono che il 12 per cento del commercio mondiale transita attraverso Suez, che rappresenta il 30 per cento del volume dei container del trasporto marittimo internazionale. Nel 2022 le navi in transito sono state 23.583 unità, con un +15 per cento rispetto al 2021 e addirittura un +42 per cento rispetto al 2013.

Un dato significativo dell’importanza di questo passaggio viene dal valore orario degli scambi che ammonta a circa 400 milioni di dollari, pari a 9,6 miliardi di dollari al giorno. Da qui transita il 10 per cento dei prodotti petroliferi raffinati della Penisola Arabica, l’8 per cento del gas liquefatto del Mozambico del nord e il 5 per cento del petrolio greggio africano.
Il canale egiziano vede anche il passaggio del 14,6 per cento dell’import mondiale dei prodotti cerealicoli e del 14,5 per cento dell’import mondiale dei fertilizzanti agricoli, tutti in arrivo dall’Asia. È questa la posta in gioco.
Dalla fine del 2023, però, i continui attacchi degli Houthi al naviglio sia militare siacommerciale nelle acque del Mar Rosso hanno fatto crollare i traffici della regione. Ecco che nei primi cinque mesi del 2024 l’Autorità del Canale di Suez ha registrato un calo del 49 per cento nei transiti navali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una diminuzione delle entrate nell’anno fiscale 2023/2024 di 2,5 miliardi di dollari. Una situazione che sta penalizzando anche i porti italiani, i quali rischiano di vedere un cambio di rotta a vantaggio degli scali nord-europei per le navi costrette a circumnavigare l’Africa, allungando costi e tempi. Come hanno dimostrato, gli Houthi rimangono l’ultimo fedelissimo «proxy» dell’Iran ancora in grado di minacciare Israele con il lancio di missili e droni.

Non sono bastati i numerosi bombardamenti effettuati dall’aviazione dello Stato ebraico o dalle forze statunitensi e inglesi per fermare gli attacchi da parte degli yemeniti. Per questo motivo Tel Aviv ha voluto agire direttamente nel Mar Rosso con una mossa a sorpresa. Il governo di Benjamin Netanyahu per fermare i ribelli arabi ha infatti deciso di utilizzare la marina, oltre che l’aviazione, imponendo un blocco navale con una base in loco. Un’installazione della Marina permetterebbe anche ai caccia israeliani di essere molto più efficaci visto che dovrebbero percorrere un tragitto più breve e avrebbero a disposizione una rete infrastrutturale.
Se in molti hanno scelto la città-Stato di Gibuti per aprire un avamposto nelle turbolente acque del Mar Rosso, Israele è vicino a concludere un accordo con il Somaliland, l’ex Somalia Britannica.
Questo Stato, autoproclamatosi indipendente oltre 30 anni fa si è completamente distaccato, dalla impraticabile Somalia – da decenni straziata da una guerra civile con i gruppi terroristi islamisti – e conta su circa 700 chilometri di coste da mettere a disposizione di chi voglia investire.

I primi a farsi avanti sono stati gli Emirati Arabi Uniti che nel 2017 hanno aperto nella città di Berbera una loro base militare. Hanno anche firmato un accordo per l’addestramento delle truppe locali e per una fornitura di armi leggere all’esercito. Abu Dhabi si è detto pronto ad ammodernare il vecchio porto di Berbera stanziando mezzo miliardo di dollari. Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita sono in effetti i due principale partner commerciali dell’ex Somalia Britannica e insieme stanno lavorando anche per far ottenere a questo stato il riconoscimento internazionale a cui aspira da anni.
Tel Aviv, con la firma degli Accordi di Abramo, ha normalizzato i rapporti con gli Emirati e proprio grazie a questo vede la possibilità di avere uno sbocco marittimo in Somaliland. D’altra parte, emiratini e sauditi considerano i filo iraniani Houthi un pericoloso nemico e li combattono da anni.
Le forze armate di Abu Dhabi hanno già una base in comune con Tel Aviv nell’isola yemenita di Socotra da cui controllano il traffico in transito dall’Oceano Indiano verso il Mar Rosso. Israele, oltre che proprio a Socotra, ha allestito una base di intelligence anche nel remoto arcipelago delle Dahlak, al largo delle coste dell’Eritrea, e una seconda postazione nella più alta vetta del Paese africano da cui intercetta tutte le comunicazioni dell’area.

In cambio di queste strutture militari, l’autoproclamato Stato somalo otterrebbe corposi investimenti nel settore agricolo ed estrattivo. La mossa avrebbe già il benestare dell’amministrazione Trump che per bocca di alcuni esponenti del partito repubblicano sarebbe pronta al riconoscimento internazionale del Somaliland a fronte del suo sostegno al progetto israeliano ed in funzione anti-russa e cinese.

Già, Pechino. La Cina, com’è noto, investe in Africa da oltre 20 anni e grazie alla trappola del debito controlla la maggior parte delle infrastrutture continentali. L’aeroporto di Addis Abeba è gestito da un’azienda cinese e all’esterno della sede dell’Unione Africana campeggia un cartello che ricorda essere un dono della Repubblica Popolare. A Gibuti, Xi Jinping ha aperto la più vasta base militare cinese all’estero e da qui farà passare la Via della Seta marittima in direzione del Mediterraneo.

Mosca, da parte sua, tiene sotto controllo i porti dell’Eritrea e il fondamentale Port Sudan, il grande hub sudanese dalle enormi potenzialità. La Russia è il primo fornitore di armi della regione e opera senza interferire negli investimenti cinesi, prestando i propri mercenari per difenderli. Una collaborazione molto interessata.

Il peso del Somaliland cresce dunque in maniera esponenziale e il presidente Abdirahman Mohamed Abdullahi ha nominato ministro degli Esteri Abdirahman Dahir Adan Bakal, un uomo d’affari con forti legami negli Stati Uniti. Il giovane diplomatico vuole imprimere un’accelerazione alla politica estera del Paese e ne racconta i progetti a Panorama. «Il presidente ha profondamente rinnovato il suo governo perché vuole che il Somaliland cambi passo. Il mio ministero ha come principale obiettivo quello di ottenere il riconoscimento internazionale e attrarre investimenti dall’estero. Abbiamo aperto canali con Etiopia, Arabia Saudita e soprattutto Emirati Arabi Uniti. Anche Israele sta diventando un partner molto importante con accordi di cooperazione in ambito agricolo. Abbiamo accordi militari con diverse nazioni compreso Israele, ma al momento l’unica base attiva è quella degli Emirati Arabi Uniti. Con Tel Aviv la trattativa sta andando avanti e noi vogliamo collaborare con loro, ma soprattutto con gli Stati Uniti che con la nuova amministrazione hanno compreso il nostro diritto a esistere. Intanto, la nostra intelligence ha scoperto che gli Houthi stanno cercando un’alleanza con i pirati del Puntland, la regione confinante con il Somaliland e anche con i terroristi di al-Shabaab, gli alleati di al Qaeda. Ecco che il Somaliland farà di tutto per evitare che i suoi cittadini finiscano in un vortice di morte e violenza com’è accaduto in Somalia». Un delicato e cruciale gioco di equilibri geopolitici: che Israele potrebbe sfruttare per diventare una potenza militare a cavallo fra Asia ed Africa.

Autore
Panorama

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