Israele approva il piano di Trump: ostaggi liberi e tregua a Gaza
- Postato il 10 ottobre 2025
- Di Panorama
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Il governo israeliano ha approvato nella notte di venerdì il quadro negoziale per la liberazione di tutti gli ostaggi, vivi e deceduti. L’annuncio, diffuso dall’Ufficio del Primo Ministro, segna un passaggio cruciale nel conflitto con Hamas e apre la strada alla prima fase del piano di pace promosso da Donald Trump. Cinque ministri di estrema destra – Bezalel Smotrich, Orit Strock, Itamar Ben Gvir, Yitzhak Wasserlauf e Amichai Eliyahu – hanno votato contro l’accordo, mentre Ofir Sofer del Partito Religioso Sionista si è espresso a favore, evitando una frattura nella coalizione.Subito dopo l’approvazione è entrato in vigore un cessate il fuoco a Gaza, primo segnale concreto del nuovo corso diplomatico. In un gesto inusuale, gli inviati americani Steve Witkoff e Jared Kushner hanno partecipato alla riunione di governo per circa mezz’ora, sottolineando il diretto coinvolgimento della Casa Bianca. Entrambi erano arrivati in Israele da Sharm el-Sheikh, dove avevano preso parte ai colloqui con le delegazioni israeliane ed egiziane. Nel suo intervento, Benjamin Netanyahu ha definito la decisione «uno sviluppo epocale, il frutto di due anni di battaglie e diplomazia». Il premier ha ringraziato pubblicamente Trump, Witkoff e Kushner per «l’impegno straordinario che ha reso possibile questo risultato», precisando che «l’obiettivo principale della guerra è sempre stato restituire tutti gli ostaggi, vivi e morti». Secondo Netanyahu, «la combinazione tra la pressione militare, il coraggio dei soldati e la pressione diplomatica internazionale ha isolato Hamas e portato Israele a questo punto di svolta».
Il ringraziamento a Trump e ai negoziatori
Il premier ha voluto sottolineare il ruolo degli emissari americani: «Avete lavorato con cervello e cuore per il bene di Israele e degli Stati Uniti. Le famiglie degli ostaggi vi saranno grate per sempre». Jared Kushner ha ricordato che «riportare a casa gli ostaggi è stata una priorità del presidente Trump fin dall’inizio», aggiungendo che «il coraggio delle IDF e la determinazione mostrata contro Hezbollah e in Iran hanno creato le condizioni per questa pace». Il genero del presidente ha poi elogiato «il popolo israeliano, un esercito di cittadini che ha sacrificato tutto per difendere il Paese». Steve Witkoff ha invece sottolineato la difficoltà delle scelte di Netanyahu: «Il suo compito era proteggere Israele e decidere quando essere duri e quando flessibili. Senza la sua determinazione non saremmo arrivati a questo punto».
L’operazione «Ritorno al loro confine»
Prima della riunione, l’Ufficio del Primo Ministro aveva annunciato che la missione di liberazione degli ostaggi porterà il nome di «Shavim L’gvulam» – «Ritorno al loro confine» – un richiamo al libro di Geremia che evoca il ritorno del popolo ebraico dall’esilio. Il piano, collegato alla strategia di pace di Trump, prevede un ritiro graduale delle Forze di Difesa Israeliane verso una linea stabilita con Hamas. Israele si è impegnato a completare il ritiro entro 24 ore, mantenendo però il controllo sul 53% della Striscia di Gaza.La nuova linea – definita «linea gialla» – corrisponde in larga parte alla mappa pubblicata da Trump, con modifiche concordate con Gerusalemme. Le truppe israeliane lasceranno Gaza City, conquistata durante l’operazione «Gideon’s Chariot 2», concentrandosi sulle aree di sicurezza e sui corridoi di confine.
La sequenza delle liberazioni e l’arrivo di Trump
Una volta completato il ritiro, scatterà un conto alla rovescia di 72 ore, durante il quale Hamas dovrà consegnare tutti gli ostaggi senza cerimonie pubbliche. Secondo le stime, i prigionieri vivi saranno liberati domenica, mentre i corpi dei deceduti lunedì. Contestualmente Israele rilascerà 250 prigionieri di sicurezza, 1.700 civili di Gaza detenuti dopo il 7 ottobre e 22 minorenni, oltre a restituire 360 corpi di miliziani palestinesi. I detenuti condannati per omicidio o per la produzione di armi usate in attentati saranno trasferiti a Gaza o all’estero, con divieto permanente di rientrare in Israele o in Cisgiordania. Domenica è previsto l’arrivo del presidente Donald Trump, che terrà un discorso alla Knesset per celebrare il primo successo del suo piano di pace.Fonti della Casa Bianca anticipano che nella seconda fase del progetto verranno discussi la smilitarizzazione di Gaza e la creazione di un’autorità di transizione congiunta israelo-palestinese sotto supervisione americana.
Le fratture nella coalizione e il peso politico dell’accordo
Nonostante la portata dell’intesa, le divisioni interne al governo restano profonde. Smotrich e Ben Gvir hanno definito l’accordo «una resa morale», accusando Netanyahu di «premiare il terrorismo e sottomettersi alle pressioni straniere». Tuttavia, il premier è riuscito a garantire una maggioranza stabile e a evitare una crisi immediata di governo. L’approvazione del piano rappresenta un successo personale per Netanyahu, che consolida il proprio ruolo di interlocutore privilegiato di Trump e riafferma la linea pragmatico-strategica di Israele. La scelta di procedere con un cessate il fuoco controllato, anziché con un ritiro totale, consente infatti a Gerusalemme di mantenere una presenza militare rilevante e di influenzare la futura amministrazione di Gaza. Il via libera al piano israelo-americano è il risultato di una triangolazione diplomatica senza precedenti tra Washington, Il Cairo e Doha. L’Egitto, garante della tregua, monitora il rispetto del cessate il fuoco; il Qatar, che ha enormi responsabilità per quanto accaduto finora, mantiene i contatti indiretti con la leadership di Hamas; la Turchia, altro sponsor di Hamas, pur restando defilata, offre supporto politico ai mediatori. Questa convergenza evidenzia che il progetto di Trump non è solo un accordo bilaterale, ma un disegno regionale per contenere l’influenza iraniana e stabilizzare il Mediterraneo orientale.
La seconda fase del piano parte in salita
Tuttavia, tutto avviene in un contesto di estrema fragilità. La seconda fase del piano, che prevede la smilitarizzazione di Gaza e la creazione di un’autorità di transizione, si annuncia piena di insidie: Hamas, secondo fonti israeliane e diplomatiche, non intende disarmarsi né rinunciare al controllo politico dell’enclave. Secondo lo scrittore e saggista Niram Ferretti, «l’accordo raggiunto ci consegna gli ostaggi vivi e morti ma, al di là del giubilo per il loro rilascio, lascia molte incognite sull’implementazione delle fasi successive. Hamas ha ottenuto la garanzia che, una volta consegnati gli ostaggi, la guerra non riprenderà. Lo ha ribadito Gideon Sa’ar, ministro degli Esteri israeliano. C’è allora da chiedersi chi avrà il potere di disarmarlo e chi potrà garantire che non avrà alcun ruolo gestionale a Gaza. Si parla di una forza araba, ma non si sa chi la comporrà e quando dovrebbe entrare in azione. La conclusione è che Hamas non è stato sconfitto, ed è ancora in grado di dettare le sue condizioni». La fragile tregua rischia quindi di trasformarsi in una pausa tattica più che in una vera pace, mentre il futuro di Gaza rimane sospeso tra la diplomazia americana e la realtà di un movimento che non accetta di cedere il potere.