Isola, i tombaroli negano le accuse davanti al gip

  • Postato il 16 dicembre 2025
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Isola, i tombaroli negano le accuse davanti al gip

Interrogatori di garanzia per i presunti tombaroli della cosca Arena di Isola, negano le accuse e si dicono appassionati di archeologia


ISOLA CAPO RIZZUTO – Alcuni negano le accuse, dicendosi appassionati di archeologia. E riconducendo alla loro passione le foto dei reperti rinvenute nelle memorie dei telefonini. Altri negano di aver venduto i reperti e non si riconoscono nelle conversazioni intercettate, sostenendo che non erano loro a parlare. C’è anche chi nega non solo il legame col clan ma anche l’associazione a delinquere, affermando di non conoscere i coindagati. Pochi hanno fatto scena muta davanti al gip distrettuale di Catanzaro Piero Agosteo. Gli undici presunti tombaroli della ‘ndrangheta sono stati sottoposti agli interrogatori di garanzia dopo gli arresti scattati nei giorni scorsi nell’ambito dell’operazione “Ghenos Scyletium”. Li assistono gli avvocati Roberto Coscia, Salvatore Perri, Mario Prato, Virgilio Prin Abelle e Luigi Villirilli.

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FORNITORE DI REPERTI AL CLAN

L’accusa più grave da smontare, per la difesa, è la presunta finalità dell’agevolazione mafiosa contestata agli indagati viene desunta dagli inquirenti da una serie di elementi. Uno dei presunti capi dei tombaroli, Vincenzo Godano, è stato condannato in via definitiva nel processo Jonny, scaturito da una delle principali inchieste antimafia condotte contro la cosca Arena. Vennero, tra l’altro, documentati i suoi rapporti con Francesco Arena, figlio di Carmine, il boss ucciso con un bazooka nell’ottobre 2004. Godano era, infatti, il suo fornitore di reperti archeologici illecitamente trafugati.

I LEGAMI CON GLI ARENA

Tra gli “scavatori” è annoverato Michele Nicoscia, nipote di Pasquale, vertice dell’omonima cosca attualmente alleata agli Arena. Noto alle forze dell’ordine anche Francesco Caiazzo, anche lui coinvolto nell’inchiesta Jonny, cognato dei fratelli Pasquale e Giuseppe Arena, esponenti di vertice dell’omonima cosca entrambi detenuti al 41 bis. Dalle conversazioni intercettate emerge come la figura a cui bisognava “consegnare” le monete antiche. Caiazzo, peraltro autista dello scuolabus del Comune di Isola Capo Rizzuto, più volte è stato controllato in compagnia di Francesco Arena, ritenuto il referente della consorteria criminale per il traffico di reperti archeologici. Quest’ultimo e Caiazzo, insomma, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbero state le figure di riferimento dell’organizzare per “piazzare” i reperti nel mercato illecito.

COMPETENZE ESTERNE

Nella richiesta di misura cautelare firmata dal procuratore distrettuale antimafia, Salvatore Curcio, e dai pm Silvia Peru ed Elio Romano, emerge che in un territorio come quello isolitano, dove la cosca Arena esercita un predominio incontrastato, occorre il suo “placet” anche per forme di criminalità “parallela”. L’organizzazione ‘ndranghetistica, data l’”originalità” dei reati fine rispetto a quelli tradizionali dell’associazione mafiosa, ha la «necessità di rivolgersi all’”esterno”, reclutando anche appassionati ed esperti del settore, al fine di operare in un contesto specialistico che le sarebbe diversamente precluso», osservano i magistrati della Dda. Le mafie hanno sempre bisogno di competenze esterne per perseguire i loro obiettivi. Le reti di connivenze spesso arrivano molto in alto.

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