Isabella Ducrot e l’arte di tener duro. Utopia del Novecento e stoffe
- Postato il 11 ottobre 2024
- Di Il Foglio
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Isabella Ducrot e l’arte di tener duro. Utopia del Novecento e stoffe
La protagonista ha poco più di novant’anni, ma qui si ferma il dato anagrafico perché quello che sta davanti agli occhi dello spettatore a partire dalla musica elettrica scelta dalla regista Monica Stambrini è un movimento veloce e consapevole. Un andamento capace di affondare nel meraviglioso. Un incedere elastico e giovanissimo che si palesa proprio nel corpo esile e scattante di Isabella Ducrot che apre il film a lei dedicato restando però fuori dal suo studio. Bloccata in piazza del Collegio Romano, chiusa fuori dal portone di casa e impossibilità a entrare nel suo studio da una dimenticanza formale che non ci è dato sapere, ma che sembra cogliere appieno l’ottusa costante di una carriera clamorosa e unica, avventurosa e audace, ma al tempo stesso rimossa dal palcoscenico dell’arte contemporanea. Ducrot ha dovuto infatti forzare con asprezza e decisione i cliché di un maschilismo che mostra insieme alla sua faccia feroce anche un lato non meno violento, quello delle insistite dimenticanze, quello delle patetiche omissioni. Come avviene ancora oggi quando riferendosi alle opere d’arte accolte nella metropolitana di Napoli si omettono sempre i due bellissimi mosaici di Ducrot. Si capisce così da subito il titolo di un documentario, Tenga duro signorina! presentato all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia che illumina e si fa illuminare dalla figura icastica e al tempo stesso gioviale di Isabella Ducrot.
Monica Stambrini segue gli ultimi anni di Ducrot e ne documenta il successo che prende forma grazie alla lungimiranza di Gisella Capitain che accoglie i lavori di Ducrot nella sua Galleria di Colonia, ma sopratutto la sceglie come artista principale per una mostra monografica all’interno di Art Basel. Un’esposizione che sarà germinale per quella che la stesa Ducrot definisce ironicamente come la conquista del nord Europa. Tenga duro signorina! riesce grazie all’arte di Ducrot a cogliere l’attimo esile eppure irriducibile che sta esattamente tra la nostalgia e il desiderio, tra la necessità di godere giorno per giorno di quel che capita e la voglia non placabile, non frenabile di desiderare ancora di più e d’altro. Le opere di Isabella Ducrot rappresentano un dialogo tra un’estrema forza e un’apparente delicatezza che si palesa in una trasgressione erotica sempre però assolutamente colorata e felice. Una gioia che si scioglie nell’inconsolabilità che l’artista napoletana disinnesca correndo dal passato verso sempre e nuove avventure future. Si muove in continuazione, Ducrot, tra le sue stoffe e i suoi dipinti, tra le stanze della casa e nel suo studio. Alle mostre, alle inaugurazioni nelle gallerie d’Europa vanno però solo le sue assistenti, curatrici e ancelle di un’opera in corso, mentre Ducrot segue l’evolversi degli eventi da quelle stanze bellissime, tenendo dentro di sé l’utopia del Novecento insieme alla leggerezza della nostra contemporaneità. Ducrot s’innalza in un volo lungo che offre fino alla sua discesa l’impressione errata di una fragilità invece - come quando srotola le sue opere di carta -, la discesa si presenta coloratissima e colta, resistente e indistruttibile. Una discesa che è parte di un’opera che contiene inevitabilmente luoghi lungamente attraversati e visitati, così come si fa gravida di attese segnate da una consapevolezza valorosamente intima, perché troppo tardi pubblicamente riconosciuta.
Tenga duro signorina! è un diario che rivela una possibilità, quella di pretendere una liberazione del sé che non sia mera apparenza e tedioso narcisismo, ma che divenga invece uno spazio ospitale per chi ammirando le sue opere possa ritrovare nei profili dei giovani amanti così sedotti e così seducenti, la forma di un amore possibile per sé e quindi per l’altro.
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