Ironia e leggi anti Trump: la strategia del governatore della California Newsom per puntare alla Casa Bianca

  • Postato il 31 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“È ora di sfilarsi i guanti”. Così il governatore della California Gavin Newsom ha più volte descritto la sua strategia di questi mesi. “Sfilarsi i guanti” significa rispondere colpo su colpo a Donald Trump. Significa non aver paura di assumere posizioni controverse, faziose, che oggi a suo giudizio diventano necessarie se si vuole salvare la democrazia americana. In questo modo, Newsom sta acquistando particolare visibilità, trasformandosi non soltanto nel principale antagonista di Trump a livello nazionale, ma anche nel naturale candidato democratico alle presidenziali 2028. La carriera politica di Newsom ha avuto alti e bassi. È stato sindaco di San Francisco dal 2004 al 2011, vicegovernatore della California dal 2011 al 2019, per diventare quindi governatore del più popoloso Stato americano, che da solo rappresenta la quarta economia al mondo.

Politicamente, ha assunto posizioni progressiste su aborto, diritti LGBTQ, protezioni sindacali e ambientali. Al tempo stesso, la sua ascesa politica è stata sostenuta dai soldi e dagli interessi di grandi aziende e corporations, da PG&E a AT&T, da Comcast a Kaiser Permanente. Quando, l’anno scorso, Joe Biden si ritirò dalla corsa presidenziale, si fece il suo nome come possibile candidato dem. Newsom fece subito un passo indietro, dichiarandosi non disponibile e appoggiando Kamala Harris. Da politico intelligente e di lungo corso, sapeva che il suo momento non era ancora arrivato. La Casa Bianca fa comunque parte del suo orizzonte politico. Negli ultimi mesi, oltre a prepararsi un campo piuttosto largo di finanziatori, ha anche moderato alcune delle sue posizioni. Si è battuto per lo sgombero degli accampamenti di homeless.

Ha chiesto di limitare l’assistenza sanitaria per gli immigrati irregolari. Senza parte del voto centrista è del resto difficile diventare presidente e Newsom si comporta di conseguenza. Il vero punto forte della strategia di Newsom è stato però, inevitabilmente, Donald Trump. All’inizio Newsom ha mostrato un’attitudine benigna e collaborativa, in sintonia con quell’aura di moderato che cerca di costruirsi. Ha accolto personalmente Trump, sceso dall’Air Force One, nel primo viaggio da presidente a Los Angeles. Ha spiegato di voler stabilire rapporti di proficua collaborazione con il governo federale. Ha invitato diversi esponenti del MAGA nel suo podcast settimanale. La strategia del sorriso non ha pagato. Intuendone le ambizioni, Trump ha scatenato contro il governatore della California una serie di decisioni volte a mostrarne la presunta incapacità e a limitarne i poteri.

Ha imposto dazi che colpiscono duramente l’economia californiana, che dipende largamente dall’import-export con Cina, Canada e Messico. Ha minacciato di tagliare i fondi federali universitari a UCLA. Ha descritto la California come un luogo infernale, devastato da immigrazione illegale e baraccopoli. Ha, infine, mandato esercito e Guardia Nazionale a reprimere una presunta minaccia all’ordine pubblico a Los Angeles. Newsom ha preso atto dello stato delle cose e la strategia del sorriso si è trasformata nella critica più implacabile. È una critica che si è svolta in due modi. Da un lato la derisione. Dall’altro la messa in guardia contro la minaccia per la democrazia. Newsom si è gettato in un’attività social che imita, ironizza, prende di mira i post di Trump. I suoi messaggi, come quelli del presidente, sono a lettere maiuscole, disseminati di “WOW”, “GREATEST”, “INCREDIBLE”, “BEAUTIFUL”, “PERFECT”.

Se Trump ha usato l’AI per rappresentarsi in situazioni e pose grandiose – come papa o liberatore di Gaza da fame e guerra – Newsom non è stato da meno. Ha rilanciato foto generate artificialmente, che lo ritraggono in sella a un dinosauro o tra i presidenti il cui volto è scavato nella roccia a Mount Rushmore. Ha pubblicizzato articoli di merchandising modellati su quelli celebrativi della grandezza trumpiana. Tra questi, un cappellino con la scritta: “NEWSOM HA AVUTO SEMPRE RAGIONE SU TUTTO!”. Alla fine la satira ha infastidito. Il vice JD Vance ha affermato che “Newsom può mimare quanto vuole Donald Trump, ma i democratici sono destinati a perdere comunque, se non faranno politiche che aiutano davvero gli americani”. È intervenuto anche il destinatario della campagna denigratoria, promettendo di salvare “quello che un tempo era un grande Stato, la California” da “Newscum” (scum, in inglese, significa feccia). Newsom non si è lasciato intimorire e sempre sui social ha risposto a Trump. “Arrabbiato?”, ha chiesto, facendogli l’occhiolino.

Non c’è soltanto comunque l’ironia nella campagna del governatore contro il presidente. Ormai da settimane Newsom avverte del pericolo esiziale che gli Stati Uniti stanno vivendo. “Noi democratici dobbiamo svegliarci, dobbiamo uscire dal disinganno”, ha detto Newsom, che aggiunge: “Sono stanco di essere debole. Sono stanco di essere fiacco. Sono stanco di essere inconcludente. Non basta parlare. È ora di fare”. Per il governatore della California, Trump è un leader che cerca di nascondere i tanti fallimenti con mosse politiche che “dovrebbero provocarci i brividi lungo la schiena”. Di fronte a una tale minaccia per le sorti stesse del progetto americano, vecchio di 249 anni, non resta che una strada: “Combattere. Combattere. Combattere”. Newsom è dunque passato dalle parole ai fatti. Si è rivolto ai tribunali per bloccare alcune decisioni di Trump: per esempio, quelle sui dazi, che la Costituzione affida di solito al Congresso e non al presidente. L’atto più clamoroso è venuto negli ultimi giorni. Quando il Texas, su richiesta di Trump, ha ridefinito i propri distretti elettorali in modo da favorire la vittoria repubblicana in cinque tra questi, alle prossime elezioni di midterm, Newsom ha reagito e proposto un ridisegno della mappa elettorale della California che facilita la vittoria democratica in cinque collegi californiani. È una strategia che non piace a tutti i democratici. Alcuni mettono in guardia contro la deriva sempre più divisiva e immorale che sta prendendo la politica americana.

È una strategia che comunque va incontro alle attese della gran parte del popolo democratico. Un sondaggio di fine agosto del Berkeley Institute of Governmental Studies mostra che il 71 per cento degli elettori dem della California appoggia lo “sfilarsi i guanti” di Newsom. È, infine, una strategia che presenta rischi non indifferenti. Per poter cambiare la mappa elettorale della California, Newsom ha avuto bisogno del voto dell’Assemblea Legislativa dello Stato – che ha approvato la misura – ma deve ora passare attraverso il giudizio degli elettori. Il prossimo 4 novembre si terrà un’elezione speciale per confermare il ridisegno dei distretti. Alcuni sondaggi mostrano che una parte non indifferente di cittadini della California non è convinta delle necessità di una legge che appare come un colpo basso alle regole della democrazia. Un no a Newsom, il 4 novembre, non sarebbe solo una bocciatura della sua riforma elettorale. Sarebbe una messa in discussione della sua credibilità politica. Sarebbe un duro colpo alle sue ambizioni presidenziali. È un rischio che si allunga sul futuro del governatore, ma che non gli fa abbandonare per il momento una strategia che, come ha spiegato lui stesso, “risponde al fuoco con il fuoco e colpisce in bocca quei figli di puttana”.

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